mercoledì 28 febbraio 2007

RIVOLUZIONE FRANCESE, RIV. BORGHESE?

La rivoluzione francese, rivoluzione borghese?


L’interpretazione di Marx e la propaganda dei rivoluzionari stessi ha creato una vera e propria ortodossia nell’interpretazione storica della rivoluzione francese. Una ortodossia che è giunta fino agli anni Cinquanta del secolo scorso.

La storiografia marxista ha quindi trattato la rivoluzione francese come il passaggio (violento) dal sistema feudale a quello capitalistico-borghese.

Jules Michelet, Jean Jaures, Albert Mathiez, Georges Lefebvre, Albert Soboul sostengono che la borghesia nel 1789 fosse giunta al culmine della “lotta di classe” con l’aristocrazia: una casta chiusa, arroccata nella conservazione del potere e nel mantenimento del sistema feudale. Il risultato della rivoluzione è uno stato più avanzato sotto il profilo economico, sociale e politico.

Nel 1954[1] uno studioso inglese, Alfred Cobban, rilegge la storia degli anni rivoluzionari negando la teoria marxista di “big ban” capitalistico. Attraverso uno studio molto attento del materiale dell’epoca confuta tutti i punti sostenuti dalla storiografica “classica”:
1 – Non c’era il feudalesimo. Nel 1789 solo un terzo delle terre apparteneva alla classe aristocratica e i tanto sbandierati privilegi non erano altro che rimasugli insignificanti per lo sviluppo economico.
2 – Non è la borghesia a fare la rivoluzione.
La miccia fu accesa dai nobili che contrastarono le riforme finanziarie proposte dal governo. Strano che LA RIVOLUZIONE BORGHESE sia innescata da un conflitto tra re e nobili!
Nell’assemblea nazionale non c’erano rappresentanti della fantomatica borghesia capitalistica (industriali, ricchi artigiani, imprenditori) bensì esponenti della categoria degli “Officiers” ossia i funzionari pubblici che si erano comprati le cariche dalla corona. Questo corpo, istruito ma non molto importante, voleva contare di più e avere maggiori compensi economici. Ma non sono certo loro a promuovere lo sviluppo capitalistico del paese.
3 – La rivoluzione danneggia l’economia. I dati economici confermano l’effetto negativo dei fatti del 1789-1799 sullo sviluppo economico. Ha funzionato da freno e non da volano per il passaggio da una società protoindustriale a una società industriale moderna.

Le pubblicazioni di Cobban fanno scuola in Inghilterra. Dopo di lui altri storici rilanciano la teoria anti-marxista. Taylor sostiene che i rivoluzionari agiscono con l’intento di imitare lo stile di vita della nobiltà. Doyle dimostra come il processo rivoluzionario non si sia sviluppato secondo lo schema della lotta di classe: appartenenti agli ordini privilegiati erano tutt’altro che chiusi alle rimostranze dei borghesi. Infine R Forster sostenne che l’aristocrazia non viene assolutamente distrutta dalla rivoluzione: nel 1815 infatti le famiglie nobili sono praticamente le stesse del 1789.

La risposta dei marxisti
Le posizioni degli anglossassoni sono talmente convincenti che molti storici marxisti rivedono la propria lettura dei fatti alla luce delle nuove interpretazioni. Gli danno ragione sulla minimalia dei privilegi (ma sottolineano l’importanza simbolica di questi); accolgono l’analisi sugli officiers (ma sostengono l’importanza “in prospettiva” di questa classe sociale); assumono come giusta la posizione di una campagna francese spesso contraria alle istanze rivoluzionarie, quindi alla borghesia e al capitalismo. In generale però ribadiscono l’enorme importanza storica di “esempio” per tutto il mondo. In particolare François Furet, il maggiore storico della rivoluzione francese, riprese in mano tutta la questione arrivando, in un certo senso, ad un punto di sintesi.
Secondo Furet la rivoluzione francese va considerata attraverso tre processi distinti:


1) LIVELLO ECONOMICO
Inizia la trasformazione capitalistica, ma non c’è un cambiamento positivo, non c’è crescita economica. Anzi, la rivoluzione è negativa per l’economia francese. Ha ragione Cobban.

2) LIVELLO STORICO SOCIALE
Anche qui gli anglosassoni hanno ragione. Nel 1815 l’ordine sociale è pressoché identico. I borghesi sono dei conservatori simili agli aristocratici; vogliono mantenere i privilegi ottenuti e gli industriali innovatori non ci sono. Il risultato finale è un compromesso tra grande borghesia e aristocrazia.

3) LIVELLO POLITICO
E’ il campo delle grandi trasformazioni. Ricordiamoci di Sckocpol: state braking, state making.
Trionfano le idee illuministiche della libertà dell’individuo e della libertà del commercio. Vale la legge “uguale per tutti” e c’è una carta dei diritti del cittadino al di sopra dell’autorità del capo di stato. E’ finito il potere “divino” e il “modello” feudale. Al suo posto la NAZIONE raccoglie la sovranità popolare e la realizza tramite un governo eletto liberamente.


Quindi c’è “rivoluzione borghese” o non c’è?

Tra il 1770 e il 1870 c’è stato un doppio processo di trasformazione: economico e istituzionale.

ECONOMICO
Nel 1770 è un sistema che inizia il processo di modernizzazione. La società non era più organizzata secondo i parametri tipici dell’età feudale, ma restava qualche elemento fortemente simbolico (privilegi, status speciale) utile per ribadire la gerarchia di ceto.
Nel 1870 la Francia è un paese moderno, organizzato secondo il sistema capitalistico.

STATO
Nel 1770 c’è ancora una monarchia assoluta con un sistema di signorie locali più vicino al sistema feudale che al moderno stato. L’autorità centrale non ha un reale controllo del territorio.
Nel 1870 la Francia è una repubblica presidenziale con parlamento e libere elezioni (a suffragio ridotto). La legge tutela tutti i cittadini in modo ugualitario, esiste una carta dei diritti inalienabili, il fisco preleva in maniera rigorosa dall’intero corpo produttivo.

Lo storico Thompson ha parlato di “grande arco della trasformazione”. Un processo che interessa tutti i paesi con tempi e modi differenti. E che interessa i vari campi in tempi e modi differenti. Come si vede dal grafico il progresso della politica non coincide con lo sviluppo dell’economia.
L’economia soffre le turbolenze della rivoluzione; sono le innovazioni del primo ottocento (treno, telaio meccanico) a far compiere il grande balzo. Viceversa la politica conosce un clamoroso avanzamento negli anni rivoluzionari, per poi tornare indietro (ma non al 1789) dopo il 1815 nel periodo della “restaurazione”.

La rivoluzione francese non può essere considerata rivoluzione borghese; è l’intero processo di trasformazione a rivoluzionare stato, economia e società.
È il processo, non il momento!


COSA CAMBIA IN CONCRETO LA RIVOLUZIONE?
Vediamo qual è il contributo della rivoluzione al processo di trasformazione.

Sotto il profilo economico hanno certamente segnato un passo in avanti le leggi di liberalizzazione degli scambi commerciali: furono abolite le dogane interne, furono aboliti i balzelli territoriali, come le decime e altri residui delle epoche precedenti. Molto controversa fu la legge
LE CHAPELIER che abolì il sistema delle corporazioni. In pratica colpiva i lavoratori dipendenti togliendogli le garanzie e le protezioni tradizionali. Il vantaggio era per gli imprenditori che avevano meno spese e minori obblighi.
Nel complesso però la guerra civile che in pratica attanagliò il paese per oltre tre anni danneggiò il sistema economico, colpendo il commercio coloniale e l’attività portuale di città come Marsiglia e Bordeaux. La lenta penetrazione del sistema di fabbrica nelle campagne fu interrotto a causa della rivoluzione.

Dal punto di vista istituzionale la rivoluzione porta a grandi novità:
ü Laicizzazione dello stato
ü Pubblica amministrazione razionale ed efficiente
ü Istruzione per tutti
ü Uguaglianza giuridica
ü Diritti civili
ü Esercito di leva

Conclusione:
Si può ritenere la rivoluzione francese come un momento nel processo di “rivoluzione borghese” che ha contribuito alla sua realizzazione in modo esiguo, anzi, negativo per l’aspetto economico e in modo fondamentale, nonché altamente positivo a livello politico, giuridico e istituzionale
[1] Cobban tiene un discorso alla University College di Londra nel 1954 dal titolo “il mito della rivoluzione francese” a cui farà seguire nel 1964 un testo monografico che approfondisce le varie questioni. Si tratta del libro in edizione italiana “La rivoluzione francese”, Bonacci Editore, 1994.

3 commenti:

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