martedì 24 giugno 2008

blog di italiano e storia

Prof. David Mugnai

Nel presente blog si trovano parti di lezioni, risultati e idee didattiche sparse, per le materie di letteratura italiana e storia. Vittime dell'esperimento sono state le classi:

IVAMI dell'Istituto tecnico Volta di Bagno a Ripoli (2006/07)

VH del liceo artistico Alberti di Firenze (2007/08)

IIIB del liceo artistico Alberti di Firenze (2008/2009)

Per contatti
david.mugnai@libero.it

lunedì 12 maggio 2008

Guida all'esame di maturità

Nella prima prova dell'esame di maturità si può scegliere tra 4 diversi tipi di prova scritta:
1- Analisi e commento di un testo letterario o non letterario, con le indicazioni sul modo di procedere.
2- Saggio breve o articolo di giornale.
3- Tema storico su un argomento del programma svolto nell’ultimo anno di corso.
4- Tema di attualità.

1- Analisi del testo e commento letterario
Per sviluppare al meglio questa prova è necessario applicare le capacità critiche che si sono acquisite nel corso degli studi. Lo studente potrà svolgere un'ottima prova anche se l'autore o il testo non gli sono molto noti, purchè si lasci guidare dalla sua conoscenza del contesto in cui nasce il testo da analizzare e commentare, e segua attentamente le indicazioni della traccia. Le domande del questionario aiuteranno lo studente nella comprensione del testo e lo orienteranno nell'interpretazione d'insieme e nella contestualizzazione.

La Commissione in questa prova valuterà:
- le conoscenze relative al testo proposto e al quadro di riferimento;
- lo sviluppo critico dell’argomentazione;
- la correttezza e la proprietà linguistica;
- l’organicità e la coerenza del discorso;
- la capacità di dare giudizi motivati e personali.

2 - Il saggio breve
Il saggio breve è un testo argomentativo basato sull’intento di "dimostrare" una determinata tesi (un’idea-forza) mentre il tema tradizionale è un testo espositivo, in cui i contenuti non sono necessariamente strutturati per un certo obiettivo, ma semplicemente esposti, secondo un criterio personale e senza alcun riferimento ad un lettore implicito diverso dal docente o da una eventuale commissione. Le principali differenze tra saggio breve e tema tradizionale sono le seguenti:
cambia l’impostazione traccia-contenuto. Non ci troviamo più di fronte ad una traccia a tesi che richiede una riflessione su un dato argomento che ci guida anche nell’esposizione e provvista a priori di una certa mentalità, ma un soggetto da cui è necessario, a seconda della tesi che si vuole dimostrare, "estrarre" la traccia. Ovviamente si tratta di un’operazione preliminare; perché una dimostrazione sia convincente, è necessario che si appoggi su una serie di prove. Nell’ultimo esame di stato sono state fornite ai candidati delle pezze d’appoggio per ciascun "ambito" (artistico-letterario; socio-economico; storico-politico; tecnico-scientifico). In assenza di tali materiali, o in aggiunta ad essi, le prove devono essere tratte dalle proprie conoscenze o esperienze; il saggio breve deve seguire una scaletta. Tale scaletta può essere esplicita (per paragrafi, per punti) oppure implicita. Deve comunque essere possibile per chi legge l’elaborato comprendere immediatamente che si tratta di un saggio breve, quali sono i suoi passaggi, quali sono le sue conclusioni. A tale proposito si suggerisce di adottare uno schema di tipo classico in questo genere di trattazione: presentazione della tesi; svolgimento delle argomentazioni con compendio di materiali informativi; conclusioni; il saggio breve deve rispondere a determinati requisiti. Alcuni di questi sono comuni anche alla tipologia del tema tradizionale: la pertinenza, la coerenza e la conoscenza adeguata dell’argomento. Il requisito peculiare del saggio breve è la funzionalità delle argomentazioni alla dimostrazione della tesi: le prove a cui ci si affida devono essere convincenti e pertinenti; tutto ciò che è superfluo o non funzionale alla tesi da dimostrare è da scartare; il saggio breve, come dice la sua stessa definizione e come si può intuire dal punto precedente, deve essere breve: se la funzionalità è la peculiarità strutturale del saggio breve, la sintesi ne è quella formale. Nel testo del ministero della Pubblica Istruzione si raccomanda di non superare le quattro mezze pagine di foglio protocollo; il saggio breve ha un lettore implicito che deve essere qualificato: rivista specialistica, fascicolo scolastico ecc. Dalla destinazione prescelta dipendono il tipo di linguaggio, il genere di prove che si adducono, il taglio dell’elaborato (più o meno "scientifico"); privilegiando la funzione conativa a scapito di quella emotiva il saggio breve deve comunque avere un taglio "impersonale": non è consentito ricorrere a formule come "secondo me" o a frasi ad effetto e ed è sempre bene attenersi ad un tono distaccato
Lo schema espositivo 1. enunciazione: inquadrare molto brevemente i termini del problema; presentare la tesi da dimostrare e le maggiori problematiche connesse.
2. percorso critico-informativo: in questa fase, che materialmente è il nocciolo dello scritto, la struttura deve essere chiara e le prove evidenti coerentemente con quanto premesso nell’enunciazione. Nell’esposizione si può utilizzare lo schema della "reductio ad absurdum"; affiancare due posizioni contrapposte e criticarle punto per punto lasciando emergere il proprio punto di vista; se il momento informativo è prevalente si può anche limitarsi a esporre i vari argomenti in modo "oggettivo" senza prendere apertamente posizione.
3. conclusione: si conferma brevemente la tesi di partenza. Si può usare una forma di congedo più personale ma senza eccedere perché la funzione persuasiva insita nel modello del saggio breve non è quella di vendere qualcosa.

…o l’articolo di giornale
In quale giornale? Lo studente dovrà dichiarare il tipo di "giornale" (o tutt'al più settimanale) sul quale ipotizza la pubblicazione: "quotidiano di informazione" di carattere nazionale o regionale, giornale specializzato, settimanale ad alta tiratura, pubblicazioni periodiche di associazioni, e non necessariamente con il nome di una testata realmente esistente. in quale settore? Lo studente dovrà anche indicare il settore specifico in cui immagina di collocare il suo articolo: in prima pagina, in pagine di cronaca estera o di cronaca nazionale, dedicate a fatti di politica, di costume, di economia, o nelle sezioni speciali dedicate alla scienza e alla cultura, agli spettacoli, allo sport, alla cronaca cittadina. come scrivere Anche per questo tipo di testo vigono criteri che regolano l'assetto della forma compositiva, sia nella struttura complessiva (abbastanza lineare ed eventualmente suddivisa da titolazioni intermedie e da battute di intervista), sia nel registro linguistico. Questo ultimo dovrà risultare il più possibile coerente con il tipo di destinazione e con le caratteristiche della specifica sede giornalistica in cui il testo è collocato; il titolo Nel caso dell'articolo di giornale (o di periodico) assume maggior rilievo la funzione del titolo: sia per la possibile sua articolazione in più parti, eventualmente caratterizzate anche tipograficamente, sia per la ben nota funzione di forte effetto di orientamento del lettore. altri accorgimenti La produzione di un testo giornalistico comporta un ulteriore accorgimento. Poiché l'argomento può ben essere, in sé, non collegato in via diretta e immediata all'attualità, e poiché, d'altra parte, la sua trattazione in forma di articolo giornalistico si giustifica solo sulla base di una sua "attualità", è necessario trovare in tali casi un riferimento (immaginario o abbastanza realistico) a circostanze vicine nel tempo (una ricorrenza, una scoperta, una mostra e simili) che rendano verosimile la trattazione giornalistica di quell'argomento per rivolgersi a un pubblico di lettori contemporanei.

Per saggio, articolo e tema la Commissione valuterà:
- la qualità con cui sono state selezionate le informazioni;
- la ricchezza delle conoscenze; - lo sviluppo critico dell’argomentazione;
- la corretta proprietà linguistica; - l’organicità e la coerenza del discorso;
- la capacità di dare giudizi motivati e personali

3 e 4 - Il tema
Sia il tema storico che quello di attualità chiedono allo studente di sviluppare un ragionamento. Questo dovrà quindi fare riferimento al bagaglio informativo attendibile e qualificato acquisito a scuola attingendo anche alle sue curiosità ed agli interessi extrascolastici. Per questa prova non viene indicata l'estensione e quindi lo studente potrà muoversi liberamente, stando però attento ad evitare inutili eccessi.

Link agli ultimi esami

risultati prova esame

VOTI IN SCALA 15 (10=6)

Aito 10
Anichini 10
Arnetoli 9
Carfagno 11
cavatoi 10
Fantoni 11
Ferruzzi 9
Galli 12
Leone 9
Marcora 13
Mugnai 13
rondinelli 10
Pezzino 14
Sabbia 12
Strufaldi 9
Tassinari 11
Tognaccini 11

venerdì 9 maggio 2008

la poesia italiana nel primo Novecento

CREPUSCOLARISMO
Crepuscolari furono definiti dal critico Giuseppe Antonio Borgese quei poeti che avvertirono la crisi spirituale del tempo come un crepuscolo nell’imminenza del tramonto, che non vollero e non seppero allacciare alcun rapporto concreto e costruttivo con la realtà sociale, che rifiutarono ogni aggancio con la tradizione culturale. Questi poeti si ripiegarono su se stessi a compiangersi d’esser nati e, in attesa della morte, cantarono gli aspetti più banali e insignificanti del quotidiano, avvolgendo uomini e cose in una nuvola di malinconia. Privi di fede e di speranza, i crepuscolari si rifugiarono nel grigiore delle cose comuni, quasi col pudore di chi vuol nascondersi agli occhi degli altri per non farsi veder piangere. Tra di loro annoveriamo Marino Moretti, Corrado Govoni, Fausto Maria Martini, ma le voci più autentiche e significative sono quelle di Sergio Corazzini e Guido Gozzano.
Sergio Corazzini nacque a Roma nel 1887 e visse una infanzia assai triste e in assoluta povertà per il fallimento del padre. Poco più che adolescente fu costretto ad impiegarsi in una compagnia di assicurazioni per far fronte alle più indispensabili necessità della vita, vedendo così crollare ad uno ad uno tutti i sogni dell’infanzia. Ammalatosi di tisi, morì a soli venti anni. Dalla sua unica raccolta di poesia, citiamo la prima ed ultima strofa di “Desolazione del povero poeta sentimentale”:
Perché tu mi dici: poeta?
Io non sono un poeta.
Io non sono che un piccolo fanciullo che piange.
Vedi: io non ho che lagrime da offrire al Silenzio.
Perché tu mi dici: poeta?..............................
Oh, io sono veramente malato!
E muoio un poco ogni giorno.
Vedi: come le cose.
Non sono, dunque, un poeta:
io so che per esser detto:
poeta, convieneviver ben altra vita!
Io non so, Dio mio, che morire.
Amen.

Guido Gozzano nacque ad Aglié, in provincia di Torino, nel 1883. Abbandonati gli studi di giurisprudenza, si dedicò interamente alla letteratura e pubblicò due raccolte di versi, “La via del rifugio” (1907) e “I Colloqui” (1911). L'opera sua più importante, però, è il libro in prosa che descrive il suo viaggio in India, ove era andato nella speranza di guarire dalla tisi: “Verso la cuna del mondo”. Morì a soli trentatré anni, lasciando ancora da pubblicare due raccolte di novelle (“L’ultima traccia” e “L’altare del passato”) e due raccolte di fiabe (“La principessa si sposa” e “I tre talismani”).
«La sua - avverte il Pazzaglia - potrebbe essere chiamata poesia dell’assenza, della vita mancata, d'una stanca aridità, conseguita al crollo dei miti fastosi romantici o dannunziani e approfondita da quel suo sentirsi morire giorno per giorno. Egli resta perplesso davanti all’assurdità della vita e del suo stesso io
(è stranofra tante cose strambeun coso con due gambedetto guido gozzano),

FUTURISMO
I Futuristi si collocarono agli antipodi dei crepuscolari. Anch’essi rifiutarono la tradizione ed il conformismo borghese, ma in nome di un dinamismo vitale che doveva rispecchiare la nascente civiltà tecnologica e industriale. Affascinati soprattutto dalla velocità imposta dalle macchine al ritmo della vita, essi esaltarono il rischio, l'avventura, il vigore, il fascino dell'ignoto da scoprire, ed affermarono che sulla Terra non poteva esserci posto per i deboli e per gli inetti: ecco perché definirono la guerra la “sola igiene del mondo”, perché essa spazza via le scorie dell’umanità e seleziona i forti da destinare ad una vita sempre più fiera e veloce.
A differenza dei crepuscolari che vissero appartati e quasi incogniti a se stessi, i Futuristi si raccolsero in una vera e propria “scuola”, stilarono un ben preciso programma, organizzarono una ben nutrita pubblicità intorno alle loro idee, servendosi di riviste (“Lacerba”), ma soprattutto di incontri-dibattiti che effettuavano periodicamente nei teatri con tono volutamente provocatorio nei confronti del pubblico.
Fondatore e caposcuola del Futurismo fu Filippo Tommaso Marinetti.
Nato ad Alessandria d’Egitto nel 1876, studiò a Parigi e lì iniziò l’attività letteraria componendo poesie in lingua francese. Nel 1909 pubblicò su “Le Figaro” il “Manifesto del Futurismo”. Trasferitosi definitivamente in Italia, pubblicò il “Manifesto tecnico della letteratura futurista” (1912), cui fece seguire altri manifesti aggiuntivi. Acceso sostenitore della guerra, fece parte degli interventisti all’epoca della prima guerra mondiale e poi seguì ciecamente il Mussolini, che lo nominò Accademico d’Italia. Restò fedele al Duce anche dopo la sua caduta, seguendolo nella Repubblica di Salò. Morì nel 1944. Fra le sue numerose opere ricordiamo: “Mafarka il futurista” (romanzo, 1910), “Zang Tumb Tumb” (parole in libertà, 1914), “Spagna veloce e toro futurista” (1931), “La grande Milano tradizionale e futurista” (postumo) e “Una sensibilità italiana nata in Egitto” (postumo).
Ed ora presentiamo alcune proposizioni tratte dal “Manifesto del Futurismo” e dal “Manifesto tecnico” da cui emergono con chiarezza lo spirito e la tecnica espressiva dei futuristi:

1.
Noi vogliamo cantare l’amor del pericolo, l’abitudine all'energia e alla temerità.
2.
l coraggio, l’audacia, la ribellione, saranno elementi essenziali della nostra poesia.
3.
La letteratura esaltò, fino ad oggi, l’immobilità pensosa, l’estasi ed il sonno. Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l’insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo e il pugno.
4.
Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità...
7.
Non v’è più bellezza se non nella lotta. Nessuna opera che non abbia un carattere aggressivo può essere un capolavoro. La poesia deve essere concepita come un violento assalto contro le forze ignote, per ridurle a prostrarsi davanti all’uomo.
8.
Noi siamo sul promontorio estremo dei secoli!... Perché dovremmo guardarci alle spalle, se vogliamo sfondare le misteriose porte dell’impossibile? Il Tempo e lo Spazio morirono ieri. Noi viviamo già nell’assoluto, poiché abbiamo già creata l’eterna velocità onnipresente.
9.
Noi vogliamo glorificare la guerra - sola igiene del mondo -, il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei liberatori, le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna.
10.
Noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie d’ogni specie, e combattere contro il moralismo, il femminismo e contro ogni viltà opportunistica e utilitaria.
11.
Noi canteremo le grandi folle agitate dal lavoro... il vibrante fervore degli arsenali e dei cantieri... i ponti simili a ginnasti giganti che scavalcono i fiumi... i piroscafi avventurosi che fiutano l'orizzonte, le locomotive dall'ampio petto, che scalpitano sulle rotaie, come enormi cavalli d’acciaio imbrigliati di tubi, e il volo scivolante degli aeroplani, la cui elica garrisce al vento come una bandiera e sembra applaudire come una folla entusiasta.
E' dall’Italia che noi lanciamo pel mondo questo nostro manifesto di violenza travolgente, col quale fondiamo oggi il Futurismo, perché vogliamo liberare questo paese dalla sua fetida cancrena di professori, d'archeologi, di ciceroni e d'antiquari.

1.
Bisogna distruggere la sintassi, disponendo i sostantivi a caso come nascono.
2.
Si deve usare il verbo all’infinito...
3.
Si deve abolire l’aggettivo...
4.
Si deve abolire l’avverbio...
5.
Ogni sostantivo deve avere il suo doppio, cioè il sostantivo deve essere seguito, senza congiunzione, dal sostantivo a cui è legato per analogia. Esempio: uomo-torpediniera, donna-golfo, folla-risacca, piazza-imbuto, porta-rubinetto...
6.

Abolire anche la punteggiatura. Essendo soppressi gli aggettivi, gli avverbi e le congiunzioni, la punteggiatura è naturalmente annullata, nella continuità varia di uno stile vivo, che si crea da sé, senza le soste assurde delle virgole e dei punti. Per accentuare certi movimenti e indicare le loro direzioni si impiegheranno i segni della matematica: + - x : =, e i segni musicali.
9.
Per dare i movimenti successivi di un oggetto bisogna dare la catena delle analogie che esso evoca, ognuna condensata, raccolta in una parola essenziale...
10.
Siccome ogni specie di ordine è fatalmente un prodotto dell'intelligenza cauta o guardinga, bisogna orchestrare le immagini disponendole secondo un maximum di disordine.
11.
Distruggere nella letteratura l’io, cioè tutta la psicologia. L’uomo completamente avariato dalla biblioteca e dal numero, sottoposto a una logica e ad una saggezza spaventose, non offre assolutamente più interesse alcuno. Dunque, dobbiamo abolirlo nella lette­ratura, e sostituirlo finalmente con la materia, di cui si deve afferrare l’essenza a colpi di intuizione, la qual cosa non potranno mai fare i fisici né i chimici. Sorprendere attraverso gli oggetti in libertà e i motori capricciosi la respirazione, la sensibilità e gli istinti dei metalli, della pietra, del legno, ecc. Sostituire la psicologia dell’uomo, ormai esaurita, con l’ossessione lirica della materia.

Aderirono al Futurismo, sia pure per poco, Giovanni Papini, Ardengo Soffici e Aldo Palazzeschi

LA POESIA PURA
Crepuscolari e Futuristi non hanno lasciato documenti poetici di grande rilievo, ma la resa senza condizioni dei primi di fronte alla crisi morale e la violenta rivolta stilistica dei secondi favorirono senza dubbio i tentativi che altri fecero sia per superare la crisi che per realizzare una poesia veramente nuova e vaccinata contro ogni possibilità di un ennessimo classicismo. Sono costoro i cosiddetti Poeti Nuovi che diedero vita alla Poesia pura, da cui derivò l’Ermetismo.
I Poeti nuovi ripudiano tanto la solennità di una poesia vaticinante che si illudeva di poter riscattare l’umanità dalle tenebre del degrado morale (Carducci), quanto la prosaicità avvilente di una poesia ridotta a cantare le piccole insignificanti avventure del quotidiano, nutrita di una desolante rassegnazione alla morte (Crepuscolari). Per essi la poesia non deve rispecchiare alcuna realtà, nobile od umile che sia, in quanto è essa stessa creatrice di “realtà”, va cioè considerata un universo in sé compiuto ed autonomo. Essi non hanno miti da illustrare e propagandare, ma «tendono alla sincerità assoluta della testimonianza esistenziale, approfondita dallo scavo nella coscienza» (Pazzaglia). Per questo essi rifiutano i nessi logici fra le varie immagini, il discorso coerente, il significato corrente delle parole: cioè tutto quanto l’umanità ha inventato per decifrare ed esprimere la realtà che cade sotto gli occhi dell’uomo storico. «...il poeta constata che non ha più certezze o miti da proporre col canto a gola spiegata, oratorio e parenetico, ma può salvare qualche relitto di un naufragio, può solo offrire qualche storta sillaba e secca: l’adozione di nuovi moduli espressivi è quindi conseguenza di una nuova posizione etica» (Guglielmino).
In effetti i Poeti puri depurano la parola di tutti i significati che le si sono sovrapposti durante il suo corso storico e cercano di coglierla nella sua primitiva verginità, usandola più per le sensazioni primigenie che riesce ad evocare e per il suono che produce che per il suo significato attuale.
Inoltre fanno largo impiego dell'analogia per ottenere quell’essenzialità indispensabile a chi ha rinnegato ogni espressione logico-discorsiva. Barberi-Squarotti così commenta un esempio di analogia tratto da Ungaretti:
Tornano in altoad ardere le favole
«...non è più possibile ricostruire i passaggi di fantasia e di immagini che hanno fatto di quelle stelle le favole, ma rimane viva e chiara la suggestione di lontananza, di sogno e di speranza (forse di favole udite alla luce delle stelle, o di illusioni cadute che tornano a risplendere nel cielo della vita) che l’analogia, l’identificazione dei termini hanno voluto creare».
Con ciò il critico ci vuol fare intendere che è quasi impossibile voler ricostruire il percorso effettuato dalla fantasia del poeta, ma non è impossibile stabilire intuitivamente un’intesa, una corrispondenza con l’emozione provata dal poeta, capace di suscitare in noi una emozione, magari anche di natura diversa, ma non per questo priva di quella misteriosa carica che riuscirà a far vibrare le corde della nostra commozione.
Tra i rappresentanti più significativi della Poesia pura ricordiamo Giuseppe Ungaretti, Eugenio Montale ed Umberto Saba.
Giuseppe Ungaretti nacque, da genitori lucchesi, ad Alessandria d’Egitto nel 1888. Trasferitosi a Parigi per ragioni di studio (frequentò la Sorbona), strinse rapporti di amicizia con Picasso e Apollinaire. Nel 1914 venne in Italia e cominciò a pubblicare le sue prime poesie su “Lacerba”. Intanto, allo scoppio della prima guerra mondiale, si schierò dalla parte degli interventisti e partecipò poi egli stesso alla guerra in prima linea, ricavando proprio dagli orrori della guerra le indicazioni più determinanti sia per le sue scelte morali, sia per quelle artistiche, sia per quelle religiose. Dopo la guerra si stabilì a Roma, ove visse in ristrettezze economiche, finché non si trasferì, nel 1936, a San Paolo del Brasile, ove gli venne assegnata la cattedra di lingua e letteratura italiana presso l’università. In Brasile fu colpito da una grave disgrazia, la morte del figlioletto Antonietto, di appena nove anni, che lo sconvolse enormemente. Finalmente nel 1947 poté far ritorno in Italia, essendo stato chiamato all’università di Roma ad insegnare letteratura moderna e contemporanea. Morì a Milano nel 1970.
La sua prima raccolta di versi risale al 1916, “Il porto sepolto”, seguita nel 1919 dalle poesie di “Allegria di naufragi”. Vennero poi le raccolte di “L’Allegria” (1931), “Sentimento del tempo” (1933) e “Il dolore” (1947). Tutte le sue poesie sono ora raccolte nel libro della Mondadori “Vita di un uomo”.
«L’analogia, fondamento della poetica ungarettiana, è una similitudine privata del come, cioè d’ogni riferimento logico; è l’accostamento di cose e sensazioni apparentemente lontane e la scoperta d’una loro relazione organica, della fusione di esse e dell’animo che le intuisce, nell’elementare unità dell’essere. E' un procedimento tipico della poesia decadentistica e simbolistica, che l’Ungaretti riduce all’essenziale: non più a un fluire di immagini, ma alla vibrazione evocativa della parola singola; ...E' come se il poeta riscoprisse la fase originaria del linguaggio, quando il dare un nome alle cose fu per l’uomo la scoperta intuitiva del suo rapporto col mondo. A questa primitività, a questa innocenza tende tutta la poesia dell’Ungaretti. » (Pazzaglia).

Tra le due raccolte più significative delle poesie ungarettiane, “L’Allegria” e “Sentimento del tempo”, vi sono delle differenze che è opportuno notare. Nella prima raccolta è cantata prevalentemente la pena dell’Uomo-Ungaretti, nella seconda la pena esistenziale dell’Uomo moderno. Nella prima il Poeta mette a nudo la parte più riposta della propria coscienza, nella seconda - aiutato dalle riconquistate certezze della fede - va alla ricerca di quel filo che lega l’effimero scorrere del tempo con l'eterno. Nella prima esaspera il metodo analogico dell’espressionismo più puro, nella seconda tenta un recupero dei metri tradizionali al servizio dell’analogia, confidando egli stesso: «Rileggevo umilmente i poeti, i poeti che cantano. Non cercavo il verso di Jacopone o quello di Dante o quello del Cavalcanti o quello del Leopardi: cercavo in loro il canto. Non era l’endecasillabo del tale, non il novenario, non il settenario del tal altro che cercavo; era l’endecasil­labo, era il novenario, era il settenario, era il canto italiano, era il canto della lingua italiana che cercavo nella sua costanza attra­verso i secoli, attraverso voci così numerose e così diverse di timbro e così gelose della propria novità e così singolare ciascuna nell’e­sprimere pensieri e sentimenti: era il battito del mio cuore che voleva sentire in armonia con il battito del cuore dei miei maggiori di una terra disperatamente amata».

Eugenio Montale nacque a Genova nel 1896 e lì portò a termine gli studi liceali, iscrivendosi poi alla facoltà di lettere. A causa della prima guerra mondiale, che lo impegnò come ufficiale di fanteria, dovette sospendere gli studi universitari. Dopo la guerra si avvicinò alle idee liberali del Gobetti e collaborò alla rivista “La Rivoluzione liberale”, nella quale pubblicò le sue prime poesie. Passò poi a Firenze a dirigere il Gabinetto scientifico letterario “G.P. Vieusseux”, ma circa dieci anni dopo, nel 1939, essendosi rifiutato di iscriversi al Partito fascista, fu licenziato (egli, infatti, a differenza dell’Ungaretti che nutrì una certa simpatia per il Mussolini ed accettò finanche che questi scrivesse la “presentazione” alla sua raccolta di versi “Il porto sepolto” nell’edizione del 1923, fu sempre ostile alla dittatura del Duce). Comunque egli proseguì nella sua attività di poeta, ampliandola con quella di traduttore (soprattutto dall’inglese), di critico letterario (si deve a lui la scoperta italiana di Italo Svevo nel 1925) e di critico musicale (aveva anche tentato la carriera di baritono nel teatro lirico ma senza successo). Dopo la seconda guerra mondiale si trasferì a Milano, ove nel 1947 fu redattore del “Corriere della Sera” e morì nel 1981.
Le sue raccolte di poesie più importanti sono “Ossi di seppia” (1925), “Le occasioni” (1939) e “La bufera e altro” (1956), ma non sono da dimenticare le successive poesie, i racconti, le prose poetiche e i numerosi saggi ed articoli di critica letteraria, politica e musicale.
Anch’egli esprime nella sua poesia l’angoscia esistenziale di se stesso e dell’uomo moderno, la pena del vivere che assurge ad emblema della vita universale, ma la sua angoscia è senza speranza, non riesce a trovare alcuna fede che potesse in qualche modo riscattarla o almeno finalizzarla ad un ideale superiore. «Il pessimismo del poeta - scrive il Pazzaglia - è radicale. Vivere, per lui, è un continuo perdersi in una trama di atti e di gesti vani, dietro i quali sta il vuoto, un incomprensibile destino di delusione totale, d'incomunicabilità assoluta...
La sua poesia è molto spesso oscura, ma non si tratta, almeno in generale, d'una oscurità programmatica e compiaciuta. Essa nasce soprattutto dalla scoperta dell’assurdità del reale, del rovesciamento delle certezze apparentemente più solide».
Per quanto riguarda lo stile, anche il Montale chiede alla parola piuttosto una carica evocativa che un significato certo, ma egli non giunge al ripudio totale dell’espressione poetica tradizionale del primo Ungaretti e si avvicina, semmai, all'ultima esperienza del poeta di “Sentimento del tempo”.
« L'argomento della mia poesia (...) è la condizione umana in sé considerata: non questo o quello avvenimento storico. Ciò non significa estraniarsi da quanto avviene nel mondo; significa solo coscienza, e volontà, di non scambiare l'essenziale col transitorio (...). Avendo sentito fin dalla nascita una totale disarmonia con la realtà che mi circondava, la materia della mia ispirazione non poteva essere che quella disarmonia »
(E. Montale in "Confessioni di scrittori (Intervista con se stessi)", Milano 1976)
Umberto Saba va anche annoverato fra i Poeti nuovi, fra quelli, cioè, che tentarono vie nuove alla poesia italiana, ma la sua esperien­za artistica ha ben poco in comune con quelle del Montale e dell’Ungaretti. Semmai qualche contatto possiamo vedere con la poesia dei Crepuscolari, in quanto anch’egli si dedicò al canto delle piccole cose quotidiane, ma è bene precisare che anche qui si tratta di una somiglianza puramente epidermica, dal momento che l’atteggiamento psicologico e morale è ben diverso nel Saba: infatti egli accettò la vita, pur considerandola dolorosa, solidarizzò con gli uomini, specialmente i più umili («Qui degli umili sento in compagnia / il mio pensiero farsi / più puro dove più turpe è la vita»), e credette in taluni valori semplici da dover cantare con le parole del linguaggio comune («La fede avere / di tutti, dire / parole, fare / cose che poi ciascuno intende, e sono,/ come il vino ed il pane,/ come i bimbi e le donne, / valori / di tutti»). Quindi l’uso che fa della parola è anche ben diverso rispetto agli altri poeti nuovi del suo tempo, in quanto egli non ricerca suggestioni evocative ma significati pregnanti e concreti legati alle cose ed al linguaggio comune.
Saba nacque a Trieste nel 1883 da madre ebrea e padre cristiano. Questi, prima ancora che nascesse il figlio, abbandonò la moglie, sicché il bambino crebbe praticamente senza padre. Dopo una breve carriera scolastica irregolare e senza esito, partì per il servizio militare, che gli fu di grande aiuto per la sua formazione. Nel 1912 aprì una libreria antiquaria a Trieste e per tutta la vita restò fedele alla sua città natale ed alla sua attività commerciale, se si eccettuano gli anni della seconda guerra mondiale durante i quali dovette riparare prima a Parigi e poi a Roma per sottrarsi alle persecuzioni naziste contro gli ebrei.
Morì a Gorizia nel 1957.
Tutte le sue poesie, numerosissime, sono raccolte in un “Canzoniere” che ha avuto diverse edizioni.

LA POESIA NEOREALISTICA
Proprio negli anni in cui maggiormente trionfava l’Ermetismo si levarono le prime voci di dissenso contro l’ambiguità ed il solipsismo degli ermetici. Ad esempio nel 1936 Cesare Pavese pubblicò la sua prima raccolta di versi, “Lavorare stanca”, in cui, con poesie-racconto accessibilissime a tutti, affrontava il tema della infelicità umana ma così come era sentita dall’uomo comune alle prese con i problemi della disoccupazione, dell’emigrazione, della emarginazione imposta dalla vita convulsa della città, ecc.
D’altra parte, come abbiamo già detto, lo stesso Quasimodo, nella seconda fase della sua attività poetica, si era accostato di più ai problemi generali dell’uomo contemporaneo e si era distaccato in maniera rilevante dall’ambiguità dell’espressione ermetica. E così andavano facendo anche altri poeti ermetici, come il Luzi ed il Sereni.
La tragedia della seconda guerra mondiale fornisce un’ulteriore spinta ad entrare in sintonia col proprio tempo. Ormai non è più tempo di silenzi pubblici, e anche il poeta deve dire la sua, deve partecipare alla rigenerazione alla ricostruzione civile e morale. La poesia di Quasimodo, Alle fronde dei salici, è una tra le tante che il poeta, vincitore anche del Nobel (1959), scrive con argomentazioni di impatto sociale e politico. Ma sarà un filone molto seguito, in Italia come all’estero. Gli orrori del secolo in un certo senso spingono, chi ha le capacità, a descrivere con una forza immaginativa che la prosa e la cronaca non possono avere, i fatti, le percezioni, le emozioni del proprio tempo.

Comunque è la formula del Pavese che avrà un seguito, specialmente negli anni del secondo dopoguerra, quando nel cinema e nella narrativa si andava affermando il movimento del neorealismo.

Pier Paolo Pasolini, che all’impegno civile (di ispirazione marxista e gramsciana) aggiunse una sorta di “sperimentalismo polemico e rivoltoso” (secondo la definizione del Ferretti) che esplicò soprattutto in campo linguistico. Del Pasolini poeta ricordiamo: “Le ceneri di Gramsci” (1957), “L’usignolo della Chiesa cattolica” (1958), “La religione del nostro tempo” (1962), “Poesia in forma di rosa” (1964) e “Transumanar e organizzar” (1970).

sabato 26 aprile 2008

Programma di storia classe 5H

Modulo 1 – L’età delle rivoluzioni
UD 1 la rivoluzione culturale: l’Illuminismo
UD2 La rivoluzione economica: l’industrializzazione
UD3 La rivoluzione istituzionale: la nascita degli Stati Uniti
UD4 La rivoluzione politica: la rivoluzione francese


Modulo 2 – Il “lungo Ottocento” secolo della borghesia

UD1 L’eredità di Napoleone e il Congresso di Vienna
UD2 Lo stato liberale
UD3 Nazioni e nazionalismi
UD4 Il risorgimento italiano
UD5 L’imperialismo

Modulo 3 – Tra le due guerre
UD1 La Grande Guerra
UD2 I Trattati di Versailles
UD3 La rivoluzione russa
UD4 Il fascismo italiano
UD5 Il nazismo in Germania
UD6 Preludio alla guerra
UD7 Dalla guerra totale alla pace

Modulo 4 – Il dopoguerra
UD1 Gli anni della ricostruzione 1944-50

lunedì 7 aprile 2008

Il romanzo italiano tra Ottocento e Novecento

Il Settecento era caratterizzato da una produzione ben distinta materiale colto per un pubblico d’élite, e materiale popolare per le classi sociali meno istruite. Se il termine romanzo stava ancora a significare un poema in versi, erano di largo consumo i racconti picareschi e d’avventura oppure storie sentimentali e patetiche. In Gran Bretagna e Francia con la presenza consistente di un ceto borghese il romanzo aveva il suo pubblico. In Italia invece mancava questa categoria sociale.
Dobbiamo arrivare all’inizio dell’Ottocento - nel nord Italia - per trovare una consistente presenza del ceto borghese; con esso nasce dunque anche il romanzo italiano.

1. L’io romantico (eroico e suicida)
Primo titolo degno di nota è lo “Jacopo Ortis” di Ugo Foscolo. Nuova è anche la cornice entro cui si muove la stria: siamo nel campo dell’introspezione, nell’indagine interiore dell’io.
Alla fine del Settecento una certa moda per le autobiografie era diffusa - su tutte svetta “Vita” di Vittorio Alfieri - in stile eroico-pessimistico. Foscolo però ci aggiunge una forte interrelazione con le vicende storiche. E sceglie - al pari di Ghoete nel Werther (1774) - la struttura epistolare a voce unica, monologante ®mette in risalto il colloquio con se stesso.

‘700 - un “io” razionale e sociale.
‘800 - un “io” individualista, in conflitto permanente con la realtà e con se stesso. Ma deciso a tradurre in azione i propri ideali e le proprie passioni, e perciò esposto, anzi, predestinato, nel crollo di ogni illusione, all’estrema scelta della morte volontaria. Siamo in pieno romanticismo.

Ma l’Ortis ha ancora troppi legami con il genere poetico per rappresentare un caso esemplare e fondante per la nostra letteratura. Così come ancora troppo poco narrativo appare l’altro lavoro autobiografico di Foscolo: “Il Sesto tomo dell’Io”. Qui il protagonista (Didimo) anziché essere un appassionato e tragico protagonista del suo tempo, appare come un distaccato, disilluso e ironico. Il testo, la storia o altro non convinse l’autore che non completò mai il lavoro.
Tra il 1802 e il 1827 (prima pubblicazione dei Promessi Sposi) cambiano molte cose. Nel Lombardo-Veneto della restaurazione asburgica cresce la cultura borghese e con essa l’aspettativa per un genere letterario che rompesse con lo stile artificioso dell’aristocrazia (poetica classicista) senza scadere nel banale e volgare. E’ intorno alla rivista milanese “Il Conciliatore” che alcuni scrittori come Pietro Borsieri, Silvio Pellico, Carlo Gualsco trattavano del genere del romanzo sostenendo i racconti con tematiche incentrate sulla vita contemporanea e il romanzo storico.
La censura austriaca chiude “il Conciliatore” nel 1819 complicando così la vita a chi scriveva in modo diretto del tempo presente. Anche per questo lo sguardo degli scrittori si appuntò negli anni successi al romanzo storico. “Con il vero storico la narrativa acquistava un blasone di nobiltà e si teneva al riparo dalla censura.

NB come vendite dominavano i romanzetti rosa. (era comodo diffondere letteratura innocua)

2. Il romanzo storico
Il romanzo storico è definito da Manzoni: “componimenti misti di storia e d’invenzione” e si afferma attraverso la voce di un narratore onnisciente che guardando al passato riesce a definire anche il presente. Caratteristica comune è quella di avere finalità educative e divulgative, oltre che aggirare la censura e dare dignità al romanzo come forma letteraria.
All’estero è W. Scott a promuovere il genere. (es. Ivanhoe, ambientato nel XII secolo).
La data memorabile che inaugura il successo del nuovo genere è il 1827: in quell’anno muore Foscolo e con lui la sua aristocratica visione della storia, e quando a Milano dall’editore Stella, esce un libro dissonante e controcorrente come le Operette Morali. (qui Leopardi chiarisce la sua sostanziale estraneità alla cultura dominante intrisa di attivismo pedagogico, dal ruolo del narratore onnisciente tipico del romanzo storico ecc.).
Nel 1827 viene pubblicata la prima edizione dei Promessi Sposi e altri 5-6 romanzi di discreta qualità. Il cuore di questa moda romanzesca è il lombardo-veneto. Anche se il capolavoro di Manzoni non ha molto da spartire con le altre opere.

I Promessi Sposi

Il meccanismo di funzionamento dei P.S. è semplice e complicato al tempo stesso. Diciamo che viene ribaltato il rapporto tra storia e invenzione così come si presentava a teatro. Le tragedie avevano fatti e persone vere ma coscienza, comparse e contesti inventati; qui invece i protagonisti sono inventati mentre al “vero storico” si affidano figure collaterali, l’ambiente, il costume.
L’autore è libero verso i personaggi; la contestualizzazione storica serve per rendere credibile e verosimile l’invenzione. Anzi potendo inventare personaggi e situazioni non è legato agli stereotipi falsificanti dell’immagine storica e - paradossalmente - più libero di rappresentazione un mondo realistico. Così facendo ci può inserire anche il suo “disegno morale”; la sua chiave di lettura al caos dei fatti storici. L’indagine sul male del mondo e degli uomini propone in Manzoni anche una possibilità di riscatto e alternativa - non tanto e non solo nell’aldilà - quanto nella condizione umanissima della società ottocentesca.
Da qui una sorta di “bi-frontismo” dei P.S. In apparenza sono una bella favola a lieto fine, in realtà è anche una controfavola piena di veleni.
LA FAVOLA
La storia è ripresa da uno scartafaccio rinvenuto da un misterioso “secentista” : è l’impronta favolistica a cui l’autore appone alcune riserve. Mette in chiaro la doppiezza del romanzo.
L’anonimo narratore è un fatalista che vede un mondo perfetto, soltanto intaccato da situazioni disdicevoli che si ricomporranno nella volontà della Provvidenza.
La Provvidenza, perno della storia, è spesso invocata ma spesso invano; spesso i vari personaggi ne fanno un uso smaccatamente opportunistico. La mentalità contadina di Renzo comprende un rapporto mercantile-contrattuale con l’aldilà.
NB ogni personaggio intende la provvidenza in maniera utile alla propria situazione, sempre pronta come un deus ex machina a salvare la situazione.
LA CONTROFAVOLA
La controfavola realistica, originaria del narratore, mette in luce la multiforme presenza del male e del peccato, come sopraffazione fisica e morale esercitata contro i propri simili.
Es. il padre che per affetto sincero obbliga la figlia Gertrude a farsi monaca (è accecato dal potere nobiliare, dalla mentalità…). Manzoni cioè nel contesto storico inserisce una specie di indagine sul “buio groviglio di impulsi e desideri non affiorati alla luce della coscienza”.
Questo aspetto nascosto dei P.S. fu ignorato dai contemporanei - che amavano leggerlo come storia di intrattenimento a lieto fine, remissiva e consolatoria - ma colpì invece E.A.Poe che recensì la traduzione inglese nel 1835.

La lettura dei P.S. come una celebrazione della provvidenza è un po’ riduttivo. A differenza del romanzo storico in voga all’epoca che divida la storia e l’invenzione affidando ad ognuno una parte “fissa” e trasformando poi il racconto in una specie di fumetto della storia piegata all’uso patriottico, dove la storia diventa una didascalia pittoresca mentre l’invenzione una passeggiata nella fantasia. Il capolavoro di Manzoni invece si serve dell’invenzione per progettare un mondo migliore, sempre vigilata però dall’amara lezione della storia. L’intreccio tra i due aspetti e fanno un capolavoro che trascende completamente lo stile e la tematica dell’epoca.

La crisi degli anni ‘40

Va in crisi il romanzo storico.

Questo collasso del genere (delusione per l’evoluzione politica, siamo in piena restaurazione) apre le porte a soluzioni diverse, ma in genere ambientate nel tempo presente.

1840 “Fede e Bellezza” di Niccolò Tommaseo - primo romanzo di analisi contemporanea
Tommaseo accoglie la nozione del vero volgendo l’attenzione alla propria esperienza vissuta. C’è una novità d’impianto - abbiamo l’io narratore - e riprende l’analisi interiore. Rispetto all’Ortis che esaltava l’io, Tommaseo propone una autoanalisi quasi dissacrante. C’è poi uno spazio per la fisicità dei personaggi: affitto, prestito, mancanza di lavoro, miseria. Non sono note di colore ma incidono sulla psicologia dei personaggi e ne turbano le relazioni affettive.
Realtà del presente filtrata dalla prospettiva dell’io.
Personaggi: Giovanni e Maria.

1842 “Storia di una colonna infame” di Alessandro Manzoni
E’ un documentario. Manzoni in un saggio dell’epoca spiega che non è più tempo di romanzo, ma di “vero”.
La vicenda narra dell'intentato processo a Milano durante la terribile peste del 1630 contro due presunti untori, ritenuti responsabili del contagio pestilenziale tramite misteriose sostanze, in seguito ad un'accusa -infondata- da parte di una "donnicciola" del popolo, Caterina Rosa.
Il processo, svoltosi storicamente nell'estate del 1630, decretò sia la condanna capitale di due innocenti, Guglielmo Piazza e Giancarlo Mora, sia la distruzione della casa di quest'ultimo. Come monito, venne eretta sulle macerie dell'abitazione del Mora la "colonna infame", che da il nome alla vicenda.
Con questa tragica vicenda, Manzoni vuole affrontare il rapporto tra le responsabilità del singolo e le credenze e convinzioni personali o collettive del tempo. Tramite un'analisi storica e giuridica, l'autore cerca di sottolineare l'errore commesso dai giudici e l'abuso del loro potere, che calpestò ogni forma di buonsenso e di pietà umana spinti da una convinzione del tutto infondata e da una paura legata alla tremenda condizione del tempo provocata dall'epidemia di peste.
Inizialmente era parte del “Fermo e Lucia” (1823rimasto inedito), poi estromesso dalla trama del romanzo e rielaborato a lungo fino alla sua pubblicazione nel 1842.

Dopo il 1850 il romanzo in Italia si allontana dal modello manzoniano del narratore onnisciente. La “Storia” entra nella storia dal punto di vista di un narratore che è come il lettore: un borghese con incertezze e debolezze. L’esempio più importante del genere è “Confessioni di un italiano” di Ippolito Nievo. La storia di Carlino (Carlo Altoviti) racconta da lui stesso, dall’infanzia (a fine ‘700) fino alla vecchiaia (1858) “io nasco veneziano e morrò italiano“. L’ “io” di Nievo - che unisce vita privata a uno sguardo approfondito ai fatti dell’epoca - è mobile e imprevedibile, incerto, comprensivo e curioso. E’ una storia che, abbandonando i toni provvidenzialistici di Manzoni, incarna l’ottimismo e la fiducia nei valori risorgimentali. Non manca infine, una certa volontà pedagogica.
Saggezza e disincanto sono i caratteri più importanti del personaggio Carlino.
L’Italia post-unitaria

Il raggiungimento del grande ideale si trasforma in breve tempo in una delusione cocente. Insieme all’esaurirsi della tensione morale si diffonde (anche nel resto dell’Europa) una sensazione di inquietudine tra poeti, scrittori e intellettuali a disagio in un mondo sempre più votato al tecnica e al pragmatismo.
Le nuove forme espressionistiche risentono dell’influenza dell’industrializzazione: concorrenza, progresso. Chi non accetta questi valori resta ai margini.
Ci sono due principali tendenze:
a. ripiegamento verso l’interiorità. Il decadentismo esalta sentimenti negativi di distacco e disagio con il mondo.
b. letteratura come resoconto oggettivo della realtà (tremenda).

E’ abbandonato il romanzo storico - educativo. Lo scrittore non vuole o non ha più nulla da insegnare a nessuno: quello che scrive rispecchia il suo disagio individuale
(Baudelaire, Verlaine, Pascoli, ecc.) oppure rispecchia la realtà.

I Malavoglia di Giovanni Verga 1881
Come i Promessi Sposi si presenta come un’opera “nazionale“: non si limita a raccontare storie locali, magari in dialetto, ma abbraccia tematiche comuni, riflette un sentire che coinvolge un’intera generazione.
Differenze:
PS ® romanzo della ragione e della fede, come argine al caos e alla tragedia della storia.
MALAVOGLIA ® romanzo della disgregazione.
Trama
Presso il piccolo paesino di Aci Trezza nel catanese vive la famiglia Toscano che, nonostante fosse decisamente laboriosa, viene soprannominata Malavoglia.Il patriarca è Padron 'Ntoni, vedovo, che vive presso la casa del nespolo insieme al figlio Bastiano detto Bastianazzo sposato con Maria detta Maruzza la longa nonostante sia di statura tutt'altro che elevata. Bastiano ha cinque figli: 'Ntoni, Luca, Filomena detta Mena, Alessi e Lia. Il principale mezzo di sostentamento è la Provvidenza (piccola imbarcazione dedita alla pesca). Nel 1863 'Ntoni, il maggiore dei nipoti, parte per la leva militare. Per far fronte alla mancanza, padron ‘Ntoni tenta un affare comprando una grossa partita di lupini - peraltro avariati - da un suo compaesano, chiamato Zio Crocifisso per via delle sue continue lamentele e del suo perenne pessimismo. Il carico, affidato al figlio Bastianazzo perché li vada a vendere a Riposto, sfortunatamente naufraga, assieme a Bastianazzo. A seguito di questa sfortunata avventura, la famiglia si ritroverà con una triplice disgrazia: il debito dei lupini, la Provvidenza da riparare e la perdita di Bastianazzo e quindi di un membro importante della famiglia. Tornato del servizio militare, 'Ntoni tornerà molto malvolentieri alla vita laboriosa della sua famiglia, e non rappresenterà alcun sostegno alla già precaria situazione economica del nucleo familiare.
Purtroppo, le disgrazie per la famiglia non terminano. Luca, uno dei nipoti, muore nella battaglia di Lissa (1866) e questo determina l'annullamento delle nozze della figlia Mena con Brasi Cipolla. Il debito causerà alla famiglia la perdita dell'amata Casa del nespolo e via via la reputazione della famiglia andrà peggiorando fino a raggiungere livelli umilianti. Un nuovo naufragio della "Provvidenza" porta Padron 'Ntoni ad un passo dalla morte, dalla quale, fortunatamente, riesce a scampare. In seguito Maruzza, la nuora, muore di colera. Il primogenito 'Ntoni deciderà di andare via dal paese per far ricchezze, ma, una volta tornato ancora più impoverito, si dà al contrabbando e finisce in galera dopo aver accoltellato il Brigadiere don Michele, a causa della scoperta di una relazione amorosa con la sorella Lia. Padron 'Ntoni, ormai vecchio, muore senza riuscire a rivedere la sua vecchia casa. Lia, la sorella minore, vittima delle malelingue, lascia il paese e si abbandona all'umiliante mestiere della prostituta. Mena sceglie di rinunciare a sposarsi con compare Alfio, di cui è innamorata, e rimarrà in casa ad accudire i figli di Nunziata e di Alessi, il minore dei fratelli, che continuando a fare il pescatore ricostruirà la famiglia e potrà ricomprare la "casa del nespolo". Quando 'Ntoni, uscito di prigione, torna al paese, si rende conto di non poter restare a causa del suo passato di detenuto.

Giovanni Verga e il Verismo
L’idea che l’autore debba “eclissarsi” dalle pagine del racconto risale a Flaubert. Teoricamente sono in molti a farlo, ma in pratica è solo Verga che ci si avvicina.
Insieme al narratore spariscono le pretese etiche, civili ed educative che conformavano le storie al proprio giudizio. Rispetto al naturalismo francese Verga non si pone obbiettivi politici (Zola faceva una denuncia sociale che “pretendeva” giustizia); lui rappresenta le cose così come sono. Ma fa anche una ricerca sullo stile, sul tipo di prosa. La narrazione oggettiva era filtrata dai dialoghi dei personaggi; le sensazioni e le emozioni anche; insomma il documentario è narrato dall’esterno queste sono storie viste da dentro, pur in forma impersonale.
Ma in Verga c’è anche una morale:
il mondo è disgregato, ha perso il fervore e la speranza del risorgimento ed è rimasta solo “una folla nera che si affanna, si pigia, si accalca, si sorpassa brutalmente e cammina tutta verso un solo punto.” Praticamente contesta il mito del progresso così diffuso all’epoca.
Lo stile
L’impiego dilagante del discorso libero altera la logica delle sequenze; porta in scena personaggi sconosciuti (senza presentazioni) e sgretola la struttura classica del romanzo. Manca il centro organizzatore e anche il riferimento ultraterreno: “provvidenza” è diventata il nome di una barca destinata al naufragio. Per Verga c’è solo il caos e il caso. Il linguaggio è spontaneo, lontano da ogni risciacquatura in Arno. NB Il tempo usato nel racconto è l’imperfetto.

Il verismo in Italia rimane un genere per pochi; lo stesso avviene per la Scapigliatura, un movimento culturale in ambiente milanese che manifesta insofferenza verso la letteratura contemporanea (cioé Manzoni e il romanticismo risorgimentale) e più in generale per l’evoluzione tecnicista della società. Indicativo è il romanzo Fosca di Tarchetti : Giorgio, un giovane ufficiale felicemente sposato con la bella Clara, subisce il fascino morboso di Fosca, una ragazza brutta e isterica dalla sensibilità acutissima. Dopo una notta d’amore con Fosca la ragazza muore ma lui resta come contaminato. E’ l’attrazione fatale per il mondo noir, gotico; per il fascino misterioso dell’autodistruzione. NB Fosca e Clara, anche nel nome, assumono un valore simbolico opposto.

Detto che le grandi tiratura riguardavano romanzi di scarso valore letterario, il secolo si chiudeva con una virata abbastanza netta verso racconti “spiritualisti” e – soprattutto – vicini all’estetismo.
Abbandonata al fiducia nella ragione, i tempi suggeriscono una fuga in avanti nell’illusione di potenza, di bellezza; nell’esaltazione del sé, nel mito della forza. Erano gli anni della propaganda colonialista e dell’autoritarismo di Crispi.
La cultura ufficiale appoggiò romanzieri come De Amicis e poeti come Giosué Carducci.

Celebri romanzi dell’epoca sono PINOCCHIO di Carlo Goldoni e CUORE di Edmondo De Amicis (esaltazione dei valori borghesi di perbenismo, dovere, patria, etica militare, ubbidienza, accettazione dell’ordine costituito).
Torna il narratore onnisciente. Recupera il ruolo di vate: di fronte alla confusione dei tempi c’è bisogno di una voce confortante, un maestro di gusto e sensibilità…come guida per il riscatto dello spirito (non riscatto civile quindi!). Emerge un tratta importante: l’insofferenza verso la mediocrità, in genere espressa dalla massa.
Confronti:
MANZONI: regista di una struttura polifonica; resta fuori dalla mischia, descrivendo le ragioni di tutti.
NUOVO NARRATORE: regista di una struttura fonologica che implica complicità tra scrittore/protagonista/lettore.
I protagonisti sono nuovamente esponenti dell’alta società intellettuale. I personaggi delle classi sociali più basse sono descritti senza qualità o in maniera ridicola.

I Trattati di Versailles

La regia che ha organizzato e gestito la conferenza di Pace che doveva ridisegnare la mappa politica dell'Europa al termine del più sanguinoso conflitto dell'umanità, aveva tenuto conto di tutte le questioni del secolo trascorso, realizzando un programma di tempi e luoghi ad altissimo valore simbolico. Il posto – Versailles - luogo della firma della pace imposta da Bismark nel 1871 e atto fondante della grande Germania, e la data di chiusura – il 28 giugno 1919- quinto anniversario dell'uccisione dell'Arciduca Francesco Ferdinando a Sarajevo, sembravano porre fine ad una stagione di instabilità scivolata inesorabilmente in un massacro senza precedenti.Possiamo individuare tre parti per comprendere meglio la portata storica dei Trattati di versailles:1. Cosa c'era sul tavolo dei vincitori?2. quali soluzioni furono prese e imposte alle potenze sconfitte?3. quali le conseguenze di queste scelte?1. Cosa c'è sul tavolo dei “quattro grandi” ?Possiamo individuare tre situazioni-chiave per comprendere la logica delle decisioni prese a Parigi.
Crollo degli imperi centraliLa dissoluzione dell'impero Austro-ungarico, la dissoluzione dell'impero Ottomano e la sconfitta della Germania protagonista di un espansionismo crescente per tutto il secolo XIX e nel primo squarcio di XX, rappresentano il primo punto di grande rilevanza ereditato dal 1918.La Russia dei SovietAl tavolo delle trattative aleggiava il fantasma del comunismo; l'instaurazione del regime dei Soviet aveva trasformato l'utopia della rivoluzione in una prospettiva realistica. La forte instabilità politico-sociale dell'immediato dopoguerra portò a situazioni pre-rivoluzionarie in Germania, in Italia e in Ungheria.Era chiaro che la prospettiva rivoluzionaria agiva su un terreno diverso della mera presa del potere. La sua forza era data dal muoversi sul campo dell'ideale; non gestione dell'esistente ma trasformazione: ridefinizione della società, delle gerarchie, del rapporto tra stato e cittadini e tra classi sociali. Dal 1917 una realtà e un modello, non più una promessa e una teoria.L'idealismo wilsonianoL'idealismo del presidente Usa W. Wilson era la risposta dei paesi democratici-capitalisti all'idealismo socialista. Serviva una controproposta sul terreno imposto dal movimento socialista internazionale (potremmo chiamarla “autodeterminazione sociale”) e l'autodeterminazione nazionale rispondeva a questa esigenza. Anche se nei punti di Wilson non c'era solo questo, il collegamento tra identità comune e volontà di essere nazione indipendente, diventò rapidamente l'aspetto fondamentale della propaganda dei paesi vincitori.

LA CONFERENZAI lavori iniziarono il 18 gennaio 1919 a Parigi. Le trattative di pace, che dovevano servire a stabilire tempi e modi di risarcimenti dei danni di guerra nonché ristabilire i confini delle nazioni nei territori sottratti agli imperi sconfitti, si articolarono con una serie di conferenze separate. Solamente la pace con la Germania fu discussa nella reggia di Versailles; gli altri trattati furono elaborati a St. Germain (Austria); Trianon (Ungheria); Neuilly (Bulgaria) e Sèvres (Turchia). [1] I lavori furono seguiti da 32 delegazioni nazionali, ma il potere decisionale spettò formalmente ai quattro paesi vincitori:Francia: George Clemanceau (capo del governo)Inghilterra: David Lloyd George (primo ministro)USA: T. Woodrow Wilson (presidente)Italia: Vittorio E. Orlando (capo del governo)In realtà l'Italia ebbe subito un ruolo secondario in ogni fase delle trattative: non era una grande potenza e Orlando fu messo ben presto alla porta con la motivazione che le rivendicazioni italiane riguardavano solo i confini con l'Austria. Questa vicenda scatenò grandi polemiche e si rivelò una specie di umiliazione nazionale, al punto da far rientrare curiosamente l'Italia tra le nazioni assetate di rivincite nei decenni a seguire.I paesi sconfitti non ebbero diritto di rappresentanza alle trattative e dovettero limitarsi a sottoscrivere gli accordi imposti dai vincitori.
Le trattative furono incentrate su quattro fondamentali questioni da risolvere
1. creare un “cordone sanitario” intorno alla Russia ;Per isolare la repubblica bolscevica si pensò di creare un cordone sanitario di stati anticomunisti. Da nord verso sud questi stati erano nell'ordine:la Finlandia, regione autonoma dell'impero zarista alla quale Lenin concesse la secessione (valse il principio dell'autodeterminazione);i paesi baltici Estonia , Lituania e Lettonia senza alcun precedente storico, ma di etnia nettamente distinta da quella russa;la Polonia a cui fu restituita l'indipendenza dopo 120 anni;la Romania diventata quasi il doppio del territorio del 1914 per le annessioni di vaste regioni dell'impero austro ungarico e della Bessarabia.Non riuscì invece il tentativo di inserire nella fascia di protezione i paesi del Caucaso, l'Arzeibajan e la Turchia. I primi furono inglobati nell'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, mentre la Turchia a seguito della rivoluzione (non comunista) perseguì una politica antimperialistica e firmò uno specifico trattato bilaterale con la Russia nel 1921.
2) Tenere sotto controllo la GermaniaNei trattati con la Germania prevalse l'interesse nazionale della Francia per indebolire permanentemente il pericoloso vicino. La cosiddetta “pace punitiva” si articolava in due tipi di clausole:• Clausole non territoriali• Riduzione dell'esercito sotto i 100.000 uomini e della flotta a funzioni di difesa costiera• Fascia smilitarizzata sul confine Sud-occidentale• Perdita di tutte le colonie (e divieto di nuovi acquisti)• Cessione in gran parte di: flotta commerciale, bestiame, carbone (per 10 anni)• Danni di guerra per 269 miliardi di marchi-oro (poi ridotti a 132)• Clausole territoriali• Schleswig del Nord alla Danimarca• Posnania, Alta Slesia e «corridoio di Danzica» alla Polonia (Prussia orientale separata)• Occupazione militare per 15 anni della regione del Reno (riva sin. e 50 km riva destra)• Bacino carbonifero della Saar alla Francia per 15 anni• Alsazia-Lorena alla Francia
3) Costituire la Società delle Nazioni

La SDN ebbe la sua sede a Ginevra, inaugurò le proprie sedute nel 1920 e rimase attiva fino al 1946. Nell'arco dell'attività ne fecero parte 63 stati, ma solo 31 per l'intero periodo di attività.

4) Ridisegnare e ridefinire la cartina geopolitica dell'EuropaSistemata la Germania e la Russia, restava da ridisegnare il territorio lasciato libero dalla dissoluzione degli imperi dell'Austria-Ungheria e Ottomano. La teoria diceva di far decidere alle popolazioni secondo le affinità etniche e linguistiche. Ecco come andarono le cose:

IMPERO AUSTRIA-UNGHERIATrattato di Saint-Germain settembre 1919Trattato di Trianon giugno-settembre 1919Spartizione territori dell'ex Austria UngheriaIl cuore dell'impero viene ridotto a due piccoli stati: l'Austria e l'Ungheria. Tra le clausole imposte all'Austria figurava il divieto di unione alla Germania e – esattamente come l'Ungheria – la riparazione delle spese di guerra e la riduzione degli armamenti. I trattati comportarono la perdita per l'Austria dei 7/8 del territorio e per l'Ungheria dei 3/5 della popolazione.Beneficiarono della spartizione:l' Italia che guadagnò il Trentino, il Sud-Tirolo, Trieste e Istria;la Polonia , che fu resuscitata dopo 120 anni (composta anche da parti dell'ex impero russo ed ex impero germanico);la Cecoslovacchia, uno stato creato ex novo componendo le regioni tedesche della Boemia con la Rutenia e la slovacchia;Jugoslavia , stato creato ex novo unendo alla Serbia (popolazione slava-ortodossa) la Slovenia (regione ex austriaca), la Croazia (ex Ungheria), la Bosnia Erzegovina (popolazione mista tra mussulmani, slavi ortodossi e cattolici croati) e il piccolo regno del Montenegro fino a quel momento indipendente.

IMPERO OTTOMANOLo smembramento del gigante turco apriva scenari nuovi nella zona del Medio Oriente, un'area in procinto di diventare strategica per l'approvvigionamento delle fonti energetiche. Il principale pretendente al controllo dell'area era il governo britannico, che lo ottenne giocando contemporaneamente su tre tavoli:a) In guerra con la Turchia, l'Inghilterra avvia nel 1915 trattative segrete con lo sceriffo della Mecca Hussein a cui promette la costituzione di uno stato arabo indipendente in Medio Oriente in cambio dell'appoggio alla lotta contro gli Ottomani (Lawrence d'Arabia);b) In cerca di consensi nell'opinione pubblica ebraica e di finanziamenti dalle banche Rothschild, l'Inghilterra nel 1917 concede ai sionisti la Dichiarazione Balfour.

c) Stipula, nel maggio 1916, segretamente con la Francia l'accordo Sykes-Picot, secondo il quale la maggior parte delle terre arabe sotto il dominio turco sarebbero state divise tra una sfera di influenza britannica e una francese.Con i trattati viene attuata la terza soluzione; ovvero la spartizione di tipo colonialista tra Francia e Gran Bretagna. E' l'esempio più esplicito del prevalere dell'interesse nazionale (economico e politico) su qualunque pretesa idealistica. La Gran Bretagna assecondò il pugno di ferro voluto dalla Francia contro la Germania, in cambio dei protettorati su vaste zone ricche di petrolio, tra cui l'Arabia e l'Iraq. Anche la regione palestinese rientrava nel mandato britannico.Inoltre fu stabilita la nascita dello stato di Turchia limitatamente alla penisola Anatolica, l'internazionalizzazione degli stretti del Bosforo e dei Dardanelli, la cessione alla Grecia del territorio di Smirne, Tracia e Adrianopoli e all'Italia di Rodi e il Dodecaneso.

Quali conseguenze ?

“I conflitti nazionali che lacerano alcune aree europee ai nostri giorni altro non sono che i nodi di Versailles che ancora una volta vengono al pettine.” La considerazione di Hobsbawm risale al 1994 ed è in gran parte riferita alla guerra in ex-Jugoslavia.

CORDONE SANITARIO. Non riesce il tentativo di bloccare il processo rivoluzionario con l'isolamento forzato. La Russia bolscevica recupererà gran parte del territorio appartenuto all'impero zarista e, nella nuova forma di Unione Sovietica, ricomparirà nella scena delle relazioni internazionali nel 1943-45 come autentica super-potenza mondiale.• GERMANIA. L'imposizione di condizioni durissime sono alla base del disastro economico della Repubblica di Weimar e del diffuso revanscismo della popolazione tedesca nei confronti della Comunità internazionale e della Francia in particolare. Sono condizioni importanti per l'ascesa inarrestabile di Hitler nella fase più acuta della crisi economica e istituzionale del 1932.• SDN. La Società delle Nazioni fu il più clamoroso fallimento diplomatico mondiale. I limiti della nuova struttura furono subito evidenti. La Germania fu esclusa in quanto colpevole di guerra. La Russia fu esclusa in quanto paese rivoluzionario. Il Congresso degli Stati Uniti non ratificò l'adesione, tornando alla vecchia politica dell'isolazionismo e sconfessando apertamente la politica estera del Presidente. Ad eccezione che per alcuni contenziosi locali e la raccolta di dati statistici la SDN non riuscì ad intervenire, né ad avere voce in capitolo, in nessuno dei gravissimi avvenimenti che minacciarono la pace internazionale prima dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale: aggressione del Giappone alla Manciuria nel 1931, aggressione dell'Italia all'Etiopia nel 1935, occupazione della Renania da parte della Wermacht nel 1936, guerra in Spagna 1936-39, occupazione nazista nel 1938 dell'Austria e dei Sudeti.
AUTODETERMINAZIONE NAZIONALE

Come visto nella lezione precedente gli interessi nazionali prevalsero sempre sulla questione morale. Francia e Gran Bretagna non esitarono ad assemblare popoli e territori senza alcuna considerazione per la volontà dei diretti interessati.

La pretesa omogeneità interna porta i nuovi stati nazionali a sviluppare politiche di esclusione verso le minoranze o, nei casi più estremi, l’espulsione e lo sterminio. Il primo caso si registra tra il 1915 e il 1923 ad opera della Turchia. Il primo popolo ad aver subito il genocidio fu quello armeno nel corso della guerra. Il principio dell’omogeneità etnica fu applicato nuovamente al termine della guerra contro la Grecia (1922) quando oltre un milione di greci, insediati sin dai tempi antichi nelle coste dell’Anatolia, furono costretti all’esodo.

Anche l'Italia applica la nuova logica della omogeneità etnica, varando una legislazione di persecuzione verso la cultura solovena e croata nella regione della Venezia-Giulia e in particolare a Trieste.Ma sono i decenni seguenti a mostrare la tragica relazione tra nazionalità etnico-linguistica e stato.Il delirante progetto del Terzo Reich con l’annessione di tutti i territori con cittadini appartenenti alla Volksgemeinschaft e l’espulsione della razza impura dal suolo germanico, è un caso limite dello stesso principio che doveva pacificare il continente.

In pratica gli Stati-nazione hanno sostituito gli imperi multietnici, e le minoranze oppresse hanno preso il posto dei popoli oppressi; con la differenza che l’intolleranza verso minoranze, dopo il 1919, era molto più accentuata.

La Rivoluzione russa

In assoluta contraddizione con le ipotesi di Marx la presa del potere riuscì nei paesi meno industrializzati: la Russia e, nel dopoguerra, la Cina. Le condizioni della Russia zarista nel 1917 parlano chiaro: 150 milioni su 188 sono contadini, la classe operaia conta circa due milioni di lavoratori concentrati tutti a Mosca e Pietrogrado nelle grandi fabbriche statali.
Per capire le ragioni di un movimento tanto forte dobbiamo andare nella Pietrogrado (poi Leningrado e oggi San Pietroburgo) d'inizio secolo.
I lavoratori dell'industria nella capitale (Pietrogrado non Mosca) venivano nella quasi totalità dalla campagna: vivevano in case sovraffollate, privati delle più elementari norme di igiene e di intimità, immersi in un mondo alienante con pochi bambini, pochi vecchi...Il quartiere operaio era costituito per lo più da maschi con età tra i 20 e i 40 anni in genere ex-contadini (con le famiglie lontane) e scapoli. Disponibili a fare la rivoluzione. Anche la struttura urbanistica della città spingeva verso un recrudescenza dei rapporti: da una parte del fiume c'era il quartiere di lusso, esattamente di fronte il suddetto quartiere operaio.
Vladimir Ilic Lenin
La rivoluzione d'ottobre deve la sua riuscita alla volontà di Vladimir Ilic Lenin, capo della corrente bolscevica del partito socialdemocratico, di tentare la presa del potere anche in mancanza di quelle che i marxisti ortodossi pensavano dovessero essere le condizioni indispensabili per fare la rivoluzione (maggioranza della classe operaia, implosione quasi naturale del sistema capitalista).
L'ascesa politica di Lenin avviene con la proclamazione del governo borghese e con la sconcertate scelta di proseguire la guerra. Nelle tesi di aprile – siamo già nel 1917 – Lenin dichiara di voler fare subito la rivoluzione: “le idee sono grigie, l'azione è il verde albero della vita”
In pratica il successo si spiega con una concomitanza di fattori
a) Vuoto politico della classe borghese
b) Attrattiva dello slogan di Lenin: "Pane e pace per tutti"
c) La riuscita del sistema dei Soviet
d) La forza del partito sul parlamento

"Tutto il potere ai Soviet"
I soviet sono letteralmente i Consigli di Fabbrica. Nel corso del tentativo rivoluzionario del 1905, il partito socialdemocratico russo – a dispetto del nome il più estremista dell'arco politico – ne fece una bandiera del potere dei lavoratori da contrapporre al potere costituito.
Nel febbraio 1917 è lo stesso Lenin a riproporre i Soviet come potere parallelo al potere borghese, e lo fa con la consueta forza immaginativa: lo slogan “tutto il potere ai soviet” passa in breve tempo dalle parole alla realtà.
L'adesione dei lavoratori ai soviet incrementò sempre più nei mesi di agosto, settembre e ottobre; la coesione politica del governo apparve sempre più sfilacciata e Lenin spinse fortemente per un colpo di mano.
In poche ore e con un solo morto, il Palazzo d'Inverno fu preso la mattina del 7 novembre 1917: il potere comunista iniziava la sua più lunga esperienza di governo.

Quale rivoluzione?
Martov, leader dei menscevichi pensava che non fosse il momento di fare la rivoluzione, per tutta una serie di motivi, non ultimo l'isolamento e l'ostilità internazionale. Lenin e i bolscevichi invece erano convintissimi che la rottura “dell'anello debole” dell'imperialismo (la Russia) avrebbe portato altri paesi sconfitti – in primis la Germania – a seguire l'esempio rivoluzionario.
Non andò così e quasi tutti gli auspici della rivoluzione andarono perduti dopo solo 4 anni:
a) I soviet vengono esautorati
Tra i due poteri concorrenziali – partito e soviet – dopo la presa del potere ha predominanza il primo. Anzi in misura ancora più ristretta il solo Comitato Centrale del Partito Comunista. Nel corso della guerra civile, scatenatasi in terra di Russia tra il 1918 e il 1920, l'emergenza implica un accentramento di poteri che non sarà più revocato. Di grande esemplarità è l'episodio di Kronstad.
La base militare di Kronstad rappresentava una delle roccaforti della rivoluzione, con un soviet di marinai fortissimo. Finita la guerra civile loro chiedono con grande insistenza il ritorno alla “democrazia del proletariato” con il ripristino dei soviet. Nella primavera del 1921 invece la loro protesta diventa sommossa, e la sommossa una repressione sanguinosa.
b) Dittatura del Comitato Centrale all'interno del PCUS
Anche in questo caso il 1921 è la data cruciale. Il gruppo dirigente, con Lenin e Trockji in prima linea, impone il divieto di discussione all'interno del partito. E' importante notare l'atteggiamento sacrale che i due capi della rivoluzione russa hanno nei confronti del partito: essi pensano a una partito “anima” della rivoluzione, depositario di tutta la giustizia e accentratore di tutte le virtù. Inoltre Lenin non aveva alcuna predisposizione verso il pluralismo, mette fuorilegge gli altri partiti, anche i socialisti, e non risparmia accuse di tradimento a chi non la pensa come lui.
I soviet vengono esautorati quando i bolscevichi perdono la maggioranza; era solo un utilizzo strumentale della democrazia diretta, lui crede veramente solo nel partito.

Opinioni
La dimensione del fallimento della rivoluzione comunista, nei valori non nel potere che invece si è consolidato, è stata interpretata in maniera diversa dalla storiografia:
1 - "Leninisti"
Sono autori di grande fama, come l'inglese E.H. Carr e il tedesco Isaac Deutscher. La loro posizione si può riassumere nell'affermazione che:
"le idee sono giuste, le intenzioni pure, ma mancavano le condizioni: ci hanno provato ma era impossibile"
Le condizioni, obbiettivamente durissime, sono giudicate la causa vera del tradimento dei principi rivoluzionari. In particolare l'ostilità internazionale, culminata nella guerra civile e nel lungo isolamento economico, impedirono lo sviluppo di forme più democratiche del socialismo.
2 - "Anticomunisti"
Rappresentati da storici statunitensi Adam B.Ulam e Isaac Shapiro, questa corrente imputa alla formazione culturale di Lenin e degli altri dirigenti bolscevichi il risultato antidemocratico della rivoluzione. Definiti "un gruppo di avventurieri", i bolscevichi sono considerati una nuova élite che si è sostituita a quella precedente nello sfruttamento della popolazione.
3 - Combinazione di ragioni oggettive e soggettive
Come sintesi di condizioni difficili e carenze ideologiche, sul versante di democrazia e diritti umani, è illuminante la descrizione fatta da molti rivoluzionari "traditi" dall'atteggiamento del PCUS al termine del conflitto. In particolare "Memorie di un rivoluzionario" di Victor Serge.

mercoledì 5 marzo 2008

La Prima Guerra Mondiale

La Grande Guerra

La prima guerra mondiale è conosciuta anche con il termine di “Grande Guerra” perché così apparve alle popolazioni che vi si trovavano coinvolte. Era una guerra “Grande” non solo per estensione dei fronti e per numero degli stati coinvolti: mai prima c'erano stati tanti soldati in trincea, tante armi in dotazioni agli eserciti, tante industrie impegnate a sostenere lo sforzo bellico.
E inoltre il mondo veniva da cento anni di “quasi pace”.
Per gli anziani della prima parte del ‘900 “pace” significava “prima del 1914”. Dalla resa di Napoleone le guerre erano state poche, lontane e senza conseguenze. C'era stata la guerra di Crimea (1854-1856) [1] , la guerra civile americana (1861-1865) , le guerre di espansione della Prussia (1866 e 1871) e dell'Italia (1859-61 e 1866). A questi scontri si aggiunsero i conflitti coloniali e le battaglie tra paesi imperialisti: nelle città europee gli echi di queste guerre giungevano quasi come racconti d'avventura, circondati da un'aurea di leggenda ed esotismo. Tutto cambiò nel 1914.
[1] La guerra di Crimea vide contrapporsi la Russia, interessata all'apertura sugli stretti controllati dalla Turchia, contro Francia e Gran Bretagna (a cui si unì anche il Piemonte Sabaudo). La Russia ebbe la peggio.
I fatti

Il conflitto mondiale scoppiò in seguito all'ultimatum dell'Austria-Ungheria alla Serbia agitata da spinte indipendentistiche.
La contrapposizione vide da una parte gli imperi centrali Germania e Austria-Ungheria e dall'altra la triplice intesa Gran Bretagna, Francia e Russia . Gli imperi centrali ottennero l'aiuto dell'impero ottomano – in drammatica decadenza – e della Bulgaria (stati nell'area di influenza economica tedesca). La Triplice intesa riuscì a costruire nel tempo un ampio schieramento comprendente la Grecia, la Romania, l'Italia (dal 1915) e gli Stati Uniti (dal 1917).
Quale l'obiettivo della Germania?
La Germania pensava a una guerra lampo con lo sfondamento del fronte francese e la capitolazione della vecchia antagonista, una replica del 1871 insomma. Ma non andò così, per quanto nel 1914 le operazioni sembravano dare ragione allo stato maggiore tedesco.
Cosa successe?
Arrivati sulla Marna le posizioni si attestarono: i francesi, supportati da reparti belgi e inglesi, scavarono migliaia di trincee dalla Manica alla Svizzera formando il cosiddetto “fronte occidentale” che rimase quasi immutato per tre anni e mezzo.
I numeri della catastrofe
La tragedia del fronte occidentale si trova nei numeri dei combattenti: i francesi persero il 20% degli uomini in età militare; la Gran Bretagna perse mezzo milione di uomini, in gran parte giovani di Oxford e Cambridge; la Germania ebbe numericamente le perdite più alte, ma la quota dei giovanissimi era meno rilevante (più ampia la fascia di età della chiamata alle armi). Gli Usa ebbero 116.000 caduti, un terzo di quelli della II guerra mondiale, ottenuti però in un solo anno e mezzo di combattimenti (contro i 3 anni e mezzo del 1942-45) concentrati nel fronte francese. Le battaglie più tragicamente note sono quelle su Verdun nel 1916 che vide impegnati 2 milioni di uomini e causò 1 milione di morti; e la controffensiva inglese sulla Somme, che costò la vita a 420.000 soldati dell'Intesa; 60.000 il primo giorno di offensiva.
In confronto a Napoleone
Per capire come il novecento abbia introdotto la guerra totale, fatta oltre che dai soldati, dai lavoratori delle industrie e dipendente dalla quantità delle risorse e di materiali, basta un confronto con le guerre napoleoniche. Napoleone sconfisse la Prussia a Jena nel 1806 con non più di 1.500 salve di artiglieria. All'inizio della IGM la Francia aveva pianificato di produrre 12.000 granate al giorno. Alla fine del conflitto arrivò a produrne 200.000 al giorno. Le guerre mondiali fecero fare un salto di qualità anche nella produzione di massa e nell'organizzazione del lavoro.

L'Italia e il fronte orientale
Il fronte orientale più fluido. Le truppe degli imperi centrali occuparono con relativa facilità i Balcani e la Polonia. La Russia si ritrovò immediatamente a combattere una guerra di retroguardia mentre Romania e Serbia capitolarono in breve. L'entrata in scena dell'Italia e l'ipotesi di aprire un nuovo fronte a sud fallì completamente. Nel 1917 dopo la disfatta di Caporetto furono necessari supporti militari da contingenti stranieri per resistere alla controffensiva austriaca.

La fine della guerra
Lo stallo militare sul fronte occidentale fu superato nel 1918 quando la Germania firmò a Brest-Litovsk la resa della Russia andata in mano ai bolscevichi e gli Stati Uniti entrarono a fianco dell'Intesa. Lo sfondamento del fronte in direzione Parigi fu l'ultimo successo militare della Germania: la controffensiva di inglesi, francesi e americani nell'estate del 1918 fu rapida e vincente. La guerra finì 8 novembre 1918, lasciando sul campo dieci milioni di vittime .

Le caratteristiche

La Grande Guerra rappresenta un punto di rottura nello scorrere della civiltà occidentale (diversa è invece la percezione del 1914-1919 nelle altre civiltà: islamica, indiana, orientale) e rappresenta anche un modo nuovo di concepire il conflitto tra stati.
Si possono individuare 4 elementi indicativi di questo mutamento:
1 – Mobilitazione totale
2 – Tecnica e la tecnologia si dimostrano determinanti per la vittoria militare. Molto di più dell'abilità strategica o del coraggio dei combattenti
3 – Lo stato interviene pesantemente con tutto l'apparato industriale e con la possibilità di pianificare l'intera fase di produzione e distribuzione della ricchezza
4 – Controllo dell'opinione pubblica e il ruolo della propaganda diventano fattori decisivi per la conduzione della guerra.
Da questo sintetico quadro risulta evidente il legame tra la prima guerra mondiale e il successivo sviluppo di regimi totalitari che mantengono, in periodo di pace, molte delle condizioni adottate per rispondere all'emergenza della guerra. Si pensi principalmente alla militarizzazione della cultura, ovvero all'enfasi posta sui valori di patria, di obbedienza all'autorità, di mobilitazione di massa all'interno delle strutture nazionali (associazionismo sottratto ai partiti, alla chiesa, ai sindacati ecc.). Inoltre non si può dimenticare il decisivo apporto dei reduci, all'ascesa delle formazioni politiche di estrema destra, come il fascismo in Italia e il Nazionalsocialismo in Germania. Peraltro lo stesso Hitler era uno dei tanti reduci del fronte che non si sono integrati nell'Europa post-bellica.
Dal punto di vista della percezione della realtà, la guerra introduce nelle società europee l'idea del nemico totale e dell'adesione incondizionata a questa contrapposizione: un vero e proprio aut aut mentale che lo stato impone ai suoi cittadini: o con me o contro di me! Chi non collabora o è neutrale è visto come un nemico. La distruzione del dissenso emerge come capitolo importante della politica interna dei nuovi governi nel dopoguerra: un'eredità antidemocratica della guerra molto diffusa tra le due guerre (e anche in seguito…).
Dall'altro lato della medaglia c'è invece il sorgere di un vero e proprio sentimento pacifista di massa. La dimensione spaventosa del conflitto e la percezione della sua inutilità per le popolazioni, provocarono un vasto movimento di opinione favorevole al disarmo, all'antimilitarismo, alla pace come obiettivo politico prioritario. Poeti, artisti, intellettuali agirono da spina dorsale della nuova corrente di pensiero: una posizione soltanto marginalmente recepita dai governi, troppo poco per impostare relazioni internazionali sinceramente tese a stabilire un ordine pacifico, ma abbastanza per procrastinare sine die ogni ferma presa di posizione verso le minacce militari di Germania e Giappone. Questa però è un'altra storia.

Perché la guerra?

La famosa “scintilla” fu l'attentato di Sarajevo. Le alleanze militari spiegano tecnicamente la composizione degli schieramenti. Ma questo non è sufficiente per giustificare una tragedia continentale di tale portata. Quella che è stata descritta anche come “il suicidio dell'Europa” ha segnato il passaggio agli Stati Uniti d'America del ruolo leader dell'economia mondiale. Quindi, come è stato possibile?
Se una risposta univoca non esiste, possiamo tracciare una serie di motivazioni che, sovrapposte, offrono un quadro plausibile del perché gli statisti europei non sono riusciti a evitare una inutile carneficina.
Nessuno immaginava una guerra più lunga di qualche settimana, massimo qualche mese. I ricordi affondavano alle gloriose battaglie di Von Bismark, che sbaragliò l'esercito di Napoleone III in pochi giorni, oppure all'epopea napoleonica dove la guerra era composta da una serie di battaglie campali, gestite poi in sede diplomatica.
L'inferno delle trincee, sostenute da popoli interi, fu un fatto inedito che colse alla sprovvista tutti: soldati, generali, capi di stato. Ma, in ogni caso, le forze in campo avevano un equilibrio che non permetteva a una parte di soverchiare con decisione l'altro.
Perché non si fermarono una volta che i fronti raggiunsero lo stallo?
La mentalità che aveva guidato le scelte degli statisti fino ad allora non era stato quello della guerra fino alla morte. Cosa avrebbero fatto i vari Bismark o Telleyrand al posto dei governi coinvolti nella Prima guerra mondiale? Probabilmente avrebbero trovato una via di uscita diplomatica nel momento che le posizioni si erano attestate. Se andarono avanti tre anni a massacrarsi sulle trincee significa che era cambiata la posta in palio. La guerra non era più finalizzata a obiettivi limitati: la Germania voleva una posizione di predominio politico pari a quello britannico, il che avrebbe relegato a un rango inferiore la potenza inglese già in declino. Era un aut aut. La Francia doveva bilanciare l'espansione economica e demografica della Germania. Per tutti l'obiettivo era assurdo e autolesionistico e cacciò l'Europa in un tunnel senza uscita.

Quale consenso?
La fase storica era favorevole agli interventisti. Lo sviluppo delle società democratiche e di massa favorì la comunicazione da parte di giovani intellettuali e spregiudicati imprenditori, inclini all'azione, al gesto eroico, all'impresa storica. C'era inoltre la guerra interna contro l'ideologia socialista, a cui la guerra esterna sembrava essere un ottimo antidoto (ideologia nazionalista contro ideologia socialista). La massa di contadini e operai era sicuramente contraria alla guerra, e questo comportò un grande sforzo da parte di tutti gli stati per convincere le proprie truppe e il proprio popolo dell'importanza del sacrificio.
La propaganda riuscì? Solo in parte!
E' vero che in fin dei conti la guerra fu fatta, e gli episodi di ammutinamento e diserzione non furono mai determinanti. Però è anche vero che le rivolte e le diserzioni furono di un numero spaventoso: in alcune situazioni gli ufficiali francesi o italiani si trovarono costretti a fucilare decine di soldati come monito (in particolare è molto alto il numero dei soldati italiani uccisi per diserzione nella rotta di Caporetto per obbligare alla resistenza sul Piave); dopo la rivoluzione interi reparti russi abbandonarono il fronte, o si rifiutarono semplicemente di combattere. In generale la resistenza ad obbedire agli ordini si è avuta dopo i primi mesi (quando l'illusione della guerra breve fu del tutto dissipata) e in seguito alla rivoluzione russa, quando le parole di pace e giustizia raggiunsero con grande forza persuasiva tutti i fronti e tutti i paesi.
Non abbastanza in ogni caso, per ribaltare il destino della guerra.

La guerra degli italiani
Premessa : l'Italia entrò un anno dopo con i fronti già attestati, per una mossa autonoma del Re che stipulò a Londra un contratto che metteva nero su bianco il compenso per l'ingresso dell'Italia tra i paesi dell'Intesa. Quindi il re portò il paese in guerra per avere il Trentino, il Friuli, l'Istria e la Dalmazia. L'anno di neutralità vide una durissima conflittualità ideologica tra interventisti e non interventisti.
Nel 1911 la popolazione italiana contava 36 milioni di abitanti (2 dei quali però emigrati all'estero) in maggioranza ancora legati al mondo agricolo. In altre parole il 58% erano contadini, il 24% addetti dell'industria e artigianato e solo il 17% impiegati nel terziario.
Arruolati nell'esercito nel periodo 1915-18 furono 5.900.000 (su 7,7 milioni di famiglie); il reclutamento coinvolse cioè statisticamente i 4/5 delle famiglie anche se ci furono punte diverse a seconda delle zone. In Toscana ad esempio quasi un uomo su due fu impegnato nell'esercito: praticamente tutti i gruppi familiari avevano un soldato in guerra. Il fronte si componeva di circa 1 milioni di uomini all'inizio e circa 2 alla fine.
Chi era in prima linea? In generale erano contadini, giovani mandati a combattere per un'idea di patria che ignoravano e per delle ragioni geopolitiche assolutamente incomprensibili. Spesso contadino-soldato era legato ai valori della terra e del villaggio, non aveva istruzione, non parlava altra lingua che il proprio dialetto; in breve non aveva tensione morale, ma semplice ubbidiva agli ordini e alla chiamata dello Stato.
L'esperienza del fronte fu una esperienza devastante. Il sentimento più diffuso fu lo sgomento per una realtà inaspettata. Centinaia di poesie, diari e scritti ci danno testimonianza, più delle fredde cifre – comunque 600.000 morti, quando l'intero risorgimento ne costò 7.000 – della tragedia, dello spavento, della rassegnazione vissuta nelle gallerie di fango scavate per centinaia di chilometri lungo il confine con l'impero asburgico.
Il Carso
Il fronte più tragicamente noto è quello del Carso, di cui il fiume Isonzo rappresentò la linea naturale della carneficina. Si contarono in tre anni 12 “battaglie dell'Isonzo”, che significa come i morti non spostavano di un metro la situazione militare. L'altopiano che seppellì, tra i due eserciti, quasi un milione di giovani, è ondulato e brullo, caldissimo in estate e battuto in inverno da venti gelidi da nord est, solcato da caverne e ripari naturali. In questo ambiente le battaglie erano svolte con la strategia degli assalti: quando l'ufficiale dava il segnale al grido “Savoia”, i soldati semplici uscivano correndo dalla trincea, baionetta alla mano, per andare verso la trincea avversaria a qualche centinaio di metri di distanza. Raggiunta la quale si innescavano sanguinosi corpo a corpo con armi bianche.
In quei momenti concitati e spaventosi la possibilità di restare vivi era davvero molto bassa; non meno pericolosi erano i bombardamenti con i cannoni da trincea a trincea o gli attacchi con armi chimiche, ancora non vietate dalle convenzioni internazionali.
Oltre ai danni fisici e alla morte incombente, i militari della grande guerra vissero un particolarissimo e molto diffuso stato di perdita di coscienza e crisi di identità indotto dalla paura, dalla confusione e dagli stenti della vita militare.

Le perdite dell'Italia nella prima guerra mondiale: 650.000 morti; 947.000 feriti, mutilati e invalidi; 600.000 prigionieri e dispersi. Su 5.615.000 uomini mobilitati si ebbe un totale di 2.197.000 perdite, pari al 39 % degli uomini sotto alle armi.

sabato 26 gennaio 2008

programma italiano 5H

Illuminismo
Caratteri generali.
Ugo Foscolo
Vita e opere.
Ultime lettere di Jacopo Ortis;
Sonetti: Alla sera, in morte al fratello Giovanni, A Zacinto; (analisi del testo poetico)
Carme dei Sepolcri (analisi del testo poetico).

Il romanticismo
Caratteri generali.

Giacomo Leopardi
Vita e opere.
Piccoli idilli - L’infinito, Alla luna, La sera del dì di festa. (analisi del testo poetico)
Grandi idilli: A Silvia, Canto notturno di un pastore errante dell’Asia, Il sabato del villaggio. (analisi del testo poetico).
Ultime liriche - La ginestra.
Operette morali: Dialogo di un venditore di almanacchi e un passeggere; Dialogo di Tristano e di un amico; Dialogo tra la natura e un islandese.
Scritti privati: Zibaldone e lettera al padre.

Alessandro Manzoni
Vita e opere.

L’evoluzione del romanzo tra Ottocento e Novecento (uno a scelta)
I promessi sposi. (storico) 1840 - Manzoni
I malavoglia (verismo) 1881 - Verga
Il fu Mattia Pascal (psicologico) 1904 - Pirandello
La coscienza di Zeno (psicologico) 1923 - Svevo
Una questione privata (neorealismo) 1963 - Beppe Fenoglio
Se una notte d’inverno un viaggiatore (sperimentalismo) 1979 - Italo Calvino

La letteratura post-unitaria

Verismo - caratteri generali

Decadentismo - caratteri generali

Carducci - vita, opere e caratteri generali.
Nevicata
"Funere mersit acerbo"


Pascoli - vita, opere e caratteri generali.
X agosto
Nebbia

D'Annnunzio - vita, opere e opere generali (analisi: da Alicyone - pioggia nel pineto; notte fiesolana)

Il teatro di Luigi Pirandello - vita, opere, caratteri generali. Estratti da: Arte e coscienza d'oggi; L'umorismo; Uno nessuno e centomila.

Il Novecento 1
Le “riviste” del primo Novecento
Il crepuscolarismo. Gozzano e Corazzini.
Il futurismo - caratteri generali. Filippo Tommaso Marinetti.
Giuseppe Ungaretti - vita, opere e caratteri generali. (analisi di liriche tratte da "L'Allegria")
Eugenio Montale - vita, opere e caratteri generali. (analisi di: Non chiederci la parola, Spesso il male di vivere, Primavera hitleriana)
Italo Svevo. La coscienza di Zeno.


Il Novecento 2
Il neorealismo
Primo Levi - Se questo è un uomo
Italo Calvino (introduzione a “I sentieri dei nidi di ragno);
Salvatore Quasimodo - (analisi di: Ed è subito sera; Alle fronde dei salici)

storia d'Italia 1861-1914

La politica in Italia 1861-1914


Dati: 78% di analfabeti
2100Km di ferrovie
2% il corpo elettorale (25% in FR, 20% in Prussia, 8% in GB)

PRIORITA’ POLITCA: dare unità sociale, militare ed economica al nuovo regno
Fu rinnovata l'alleanza con i grandi proprietari del sud ed esteso a tutto il territorio la legislazione e il regime fiscale in vigore in Piemonte. Scelte fatte in nome della continuità.
La maggioranza parlamentare era di destra. Che destra è? Conservatrice non reazionaria. E’ detta “destra storica”.
62 (marzo-dicembre) Rattazzi
62-63 Fratini
63-64 Minghetti
64-66 La Marmora
66-67 Ricasoli
67 (apr-ott) Rattazzi
67-69 Menabrea
69-73 Lanza
73-76 Minighetti
Cosa fa?
Accordo con la Francia per lasciare Roma al Vaticano. La capitale sarebbe stata Firenze; proteste a Torino. 1865 - Firenze diventa capitale, viene stipulato un accordo militare con la Prussia.
Pochi mesi dopo lo scontro Prussia-Austria induce l'Italia ad approfittarne per prendere il veneto ( III guerra di indipendenza ). Le battaglie di CUSTOZA sulla terraferma e LISSA sul mare, sono due umilianti sconfitte per il giovane esercito nazionale. La sconfitta dell'Austria permette comunque all'Italia di acquisire il Veneto (pace di Vienna, ottobre 1866).
Nel 1870 Roma breccia di Porta Pia (20 settembre). Un plebiscito sanzionò l'annessione.
BRIGANTAGGIO (1861-1865)
Il fenomeno dei “briganti”, cioè fuorilegge a giro per le campagne del sud, fu dovuto principalmente al peggioramento del livello di vita già molto basso, delle popolazioni del meridione dopo l'unità. L'aumento delle tasse e la leva obbligatoria (che toglie braccia ai contadini) scatenò una reazione che assunse la forma del brigantaggio e che fu strumentalizzata dal clero e dai borboni. Una inchiesta parlamentare guidata dal deputato Massari indicò molto bene la relazione tra cause ed effetto del fenomeno. Fu ignorata e risolto il problema con il pugno di ferro, cioè con una repressione molto dura. La politica dei governi di destra fu tutta orientata allo sviluppo industriale del nord: aumento delle tasse per i prodotti agricoli, il corso forzoso (stampa di banconote maggiore del valore corrispondente dell'oro), nessuna protezione per l'importazione di prodotti agricoli.
Fu grande soddisfazione per alla fine dell'età della destra storica, nel 1876, poter annunciare il raggiungimento della parità di bilancio.

La sinistra al potere (1876)
Che sinistra era? Una sinistra liberale, niente a che vedere con i socialisti. La sostenevano i giovani imprenditori e i professionisti delle città.
PRIORITA’ POLITICA: sviluppo industriale, consenso popolare, lotta alla povertà.
Agostino Depretis era il leader. Con il discorso di Stradella presentò il suo programma: abolire la tassa sul macinato, stato laico, decentramento amministrativo, lotta all’analfabetismo.
Cosa fecero di tutto questo? Poco!
Tolsero la tassa ma non risolsero la questione agraria nel meridione (latifondi improduttivi con contadini miserabili). Si concentrarono soprattutto nella gestione del potere nell’aula parlamentare: le iniziative erano così moderate da convergere con le posizioni della destra. Con crescente frequenza la formazione di governi si affidò a intese con gruppi influenti o singole personalità, cosicché i favori clientelari, le poltrone, il varo di lavori pubblici divennero strumenti necessari ad assicurare il consenso elettorale, inducendo i parlamentari a trasformarsi da avversari in sostenitori del gabinetto ministeriale o viceversa, sulla base di accordi del tutto privati.
Era questo il cosiddetto trasformismo, indice di una degradata gestione del potere.
Colonialismo. Nel 1885 prese l’Eritrea ma non riuscì a conquistare l’Etiopia.
73-76 Minighetti (DESTRA)
76-78 Depretis
78 (mar-dic) Cairoli
78-79 Depretis
79-81 Cairoli
81-87 Depretis
L’età di Crispi
Nel 1887 moriva Depretis e Francesco Crispi prese il suo posto. Era stato un garibaldino, ma poi aveva svoltato a destra: ammirava Bismark e l’autoritarismo. Secondo il poeta-vate Giosué Carducci la figura severa e autoritaria di Crispi avrebbe portato l’Italia a nuova gloria (dopo l’impero romano e i comuni medioevali) come potenza mediterranea. Il re d’Italia Umberto I era favorevole ad una politica di espansione.
1887-91 Crispi
91-92 Rudinì
92-93 Giolitti
93-96 Crispi
96-98 Rudinì
1898-1900 Pelloux
NB TENERE PRESENTE LE TENDENZE INTERNAZIONALI DI INTERVENTISMO STATALE E IMPERIALISMO - SPESSO A FINI SOCIALI E POLITICI.
- nasce il partito socialista. Aumenta la pressione sullo stato da parte di sindacati, associazioni, camere del lavoro. Nel 1892 entrano in parlamento 5 deputati. L’indirizzo del partito era marxista, quindi rivoluzionario.
- lo scandalo della banca di Roma. L’Istituto, uno dei più importanti d’Italia, fallì per aver prestato soldi a imprese edilizie che speculavano sulle concessioni edilizie (pagando tangenti per convertire terreni di poco valore in aree edificabili); quando nel ’92 il settore andò in crisi, la banca non aveva liquidità e non riuscì a pagare i creditori. Furono i piccoli risparmiatori a pagare il costo del fallimento. L’inchiesta parlamentare che seguì mise tutto a tacere, sorvolando sul fatto che con i soldi della banca fu finanziata la campagna elettorale dello stesso Crispi.
- fasci siciliani (1891-1894). Erano associazioni a metà tra sindacati e
Società di muto soccorso che rivendicavano aumenti salariali e distribuzione della terra. Crispi rispose con la forza: represse il movimento lasciando sul campo circa 100 morti. La repressione riguardò anche gli anarchici in lodigiana e - in generale - le organizzazioni socialiste.
- L’imperialismo riprese con vigore ma arrivò la più clamorosa delle sconfitte: ad Adua nel 1896 le truppe italiane furono definitivamente sconfitte dall’esercito etiopico di Menelik. L’episodio segnò la prima vittoria di un esercito africano contro uno europeo. In Italia fu uno choc e Crispi perse il posto definitivamente.
Oggi Adua è la sede dell’Unione Africana.
- Rerum Novarium - Leone XIII scrisse un’enciclica di grande innovazione. Fu abbandonata la contrapposizione allo stato liberale e fu invece proposta una nuova strategia: una alleanza lavoratori-capitalisti (borghesia) per contrastare l’avanzata del socialismo. Nel testo si invitano i cattolici a dare vita a sindacati, cooperative e associazioni in grado di promuovere riforme che, senza intaccare i rapporti tra le classi sociali - alleviano le condizioni di indigenza e sfruttamento.
Tentato colpo di stato 1898-1900
Rudinì prese il posto di Crispi, ma i problemi non si risolsero e, anzi, peggiorarono. La guerra tra Usa e Spagna bloccò le importazioni di grano e l’Italia subì un’impennata di prezzi sui cereali.
I socialisti promossero giornate di manifestazioni al grido “pane e lavoro”. Il governo rispose mobilitando l’esercito contro i manifestanti. Negli scontri ci furono circa 200 morti. Il generale Bava Beccaris che fece sparare cannonate sulla gente in coda per il pane fu decorato dal re. Anche politici di spicco come il segretario del PSI furono imprigionati.
Per rendere più efficace la strategia di repressione fu proposto di rendere il governo responsabile di fronte al re e non di fronte al parlamento. Di fatto era un colpo di stato poiché avrebbe esautorato l’unico organo istituzionale rappresentativo (il parlamento). Ma il provvedimento che doveva passare dal parlamento non passò: l’ostruzionismo parlamentare riuscì (fu addirittura spaccata l’urna delle votazioni), giudizi negativi dalla corte costituzionale, ripensamenti di deputati liberali.
Il governo Pelloux che doveva fare la svolta a destra finì all’inizio del ‘900.
Un mese dopo l’anarchico pratese Gaetano Bresci tornava dall’America per sparare al re Umberto I e vendicare i morti del 1898. Il re morì, Bresci fu arrestato e condannato a morte.
Il decennio felice
VITTORIO EMANUELE III
GIOLITTI
Il nuovo re abbandonò la linea del padre e si affidò ai liberali democratici. La figura guida è Giovanni Giolitti. Rimaneva un sistema parlamentare dominato dall’instabilità.


1900-01 Saracco
01-03 Zanardelli
03-05 Giolitti
05-06 Fortis
06 (feb-mar) Sonnino
06-09 Giolitti
09-10 Sonnino
10-11 Luzzati
11-14 Giolitti
14-16 Salandra
16-17 Boselli
17-19 Orlando
Giolitti è un uomo di sinistra ma non socialista, capace di trovare accordi praticamente con chiunque. La sua azione politica, fatta di riforme, ha portato al “decennio felice“ (definizione di Benedetto Croce): sviluppo industriale, libertà sociali, miglioramento condizioni di vita. Lo stato interviene efficacemente in molti settori (trasporti, finanza, industria). Però lo fa riproponendo la peggiore tradizione italiana: pratiche clientelari, collusioni con la mafia, accordi sottobanco per vincere le elezioni. Gaetano Salvemini lo definì “il ministro della mala vita”.
Nota: fu accusato di tradire i principi del liberismo a causa del forte intervento dello stato nell’economia.
1911 - Guerra di Libia. La politica coloniale fu rilanciata prima con una martellante campagna di propaganda. A favore della guerra erano intellettuali celebri (D’Annunzio, Pascoli) e i nuovi poeti futuristi; la chiesa cattolica (favorevole ad aggredire un paese islamico) e naturalmente l’enstabilshment industriale, finanziario e militare. Contrari buona parte dei socialisti (alcuni erano entrati nell’area di governo) e i repubblicani. Anche il sindacato CGL era contrario e dichiarò sciopero generale. Così si spaccava, politicamente e socialmente, il fronte giolittiano.
(ovvero: per restare a galla, Giolitti doveva svoltare a destra!)
Militarmente la vittoria fu semplice e arricchita da lì a un anno dalla conquista di 12 isolette dell’Egeo e di Rodi.
Elezioni del 1913
Le elezioni del 1913 ribadirono la spaccatura nel paese:
il PSI abbracciò una politica massimalista (nessun accordo per raggiungere obiettivi intermedi). Prima Turati aveva cercato mille strade per fare entrare le organizzazioni dei lavoratori dentro la macchina statale.
RIFORMISMO / MASSIMALISMO le due alternative politiche della sinistra.
Il partito liberale riuscì a vincere nuovamente le elezioni grazie al PATTO GENTILONI. Di cosa si tratta?
Siccome il partito liberale non aveva un consenso di massa si cercò un accordo con l’Unione elettorale cattolica per far confluire i suoi voti sulle liste liberali. In cambio fu promesso un impegno per varare una legge contro il divorzio, l’introduzione dell’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche e un aiuto alle scuole private.
Partiti voti voti (%) seggi
Conservatori Cattolici 1,8 9
Cattolici 4,2 20
Liberali 47,6 270
Costituzionali democratici 5,5 29
Democratici 2,8 11
Radicali 10,4 62
Radicali dissidenti 1,3 11
Repubblicani 2,0 8
Repubblicani independenti 1,5 9
Partito Socialista Riformista Italiano 3,9 19
PSI 17,7 52
Socialisti independenti e sindacalisti 1,3 8
Totale 100,00 508
Il quadro era piuttosto confuso e Giolitti non riuscì a tenere in piedi il governo (era contrario alla guerra). Nel frattempo in Europa c’era aria di conflitto e in Italia le manifestazioni di sinistra erano sempre più numerose. Ad Ancona nel 1914 anarchici e socialisti presero il controllo della città e ci volle l’esercito per ristabilire l’ordine. La tensione tra militaristi e antimilitaristi era al culmine.