venerdì 29 maggio 2009

Repubblica di Firenze Slides A

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Repubblica di Firenze Slides B

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Il Rinascimento

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Storia della Repubblica di Firenze

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lunedì 18 maggio 2009

La conquista dell'America

Perché le civiltà precolombiane furono sterminate?
Come fecero poche centinaia di soldati spagnoli a sottomettere milioni di indios?
Perché il fallimento di quell'incontro è fondante della nostra attuale civiltà?


http://www.youtube.com/watch?v=8pNAZES-J80

SE COLOMBO AVESSE TROVATO LE INDIE… 


Era il 12 ottobre 1492 quando Colombo dopo mesi di navigazione sbarcò sull'isola che battezzò poi con il nome di San Salvador, le odierne Bahamas. Convinto di aver raggiunto le coste orientali dell'Asia, conosciute con il nome di Indie, chiamò i primi isolani che incontrò "Indios"

Il primo popolo che il navigatore italo-spagnolo incontrò fu quello dei Lucano, un sottogruppo degli Arawak presente nelle Bahamas. I circa 30000 abitanti che componevano questo "popolo affettuoso, privo di avidità e duttile" come Colombo lo descrive in una lettera del Natale del 1492, vivevano di pesca e agricoltura e come buona parte delle popolazioni indigene erano gente pacifica. 
L'Europeo descrisse gli indigeni con lo sguardo dell'occidentale borghese convinto della necessità di darsi un ordinamento politico e di difendersi per mantenere la pace. Si stupì perciò del fatto che gli Indios non avessero un sistema politico, non conoscessero la proprietà privata e non avessero armi, visto che fino all'arrivo degli stranieri, non avevano bisogno di difendersi da nessuno. La terra che non apparteneva a nessuno fu per Colombo terra di conquista, su cui rivendicare un diritto di proprietà. 
Così come Robinson Crusoe con il selvaggio che battezzò con il nome di Venerdì, anche Colombo assunse nei confronti degli indigeni l'atteggiamento del conquistatore che ad esempio non si pose nemmeno il problema di imparare la lingua locale, ma li costrinse ad imparare lo spagnolo. Già nella successiva spedizione compì azioni violente e uccisioni di alcuni indigeni che si rifiutavano di lavorare il cotone per gli spagnoli e tali furono le violenze e i soprusi perpetrati, che il primo Conquistador subì addirittura una condanna per malgoverno, giustizia negata e avidità. Nonostante il successivo perdono, tali accuse mostrano chiaramente l'atteggiamento che Colombo e i successivi conquistatores spagnoli ebbero nei confronti delle popolazioni indigene delle Americhe. 
Pochi anni più tardi una
 Legge Reale ordinò ai conquistadores di leggere agli Indios una dichiarazione di sottomissione alla Corona di Spagna e di fedeltà al Papa. Qualora gli indigeni avessero rifiutato, visto che spesso non comprendevano la lingua, la formula continuava: "Dichiaro che con l'aiuto di Dio, entreremo con tutte le forze nel vostro paese, combatteremo contro di voi in tutti i modi e vi sottometteremo al giogo e all'obbedienza dovuti alla Chiesa e alla Corona. Prenderemo voi e le vostre mogli e vi renderemo schiavi e in quanto tali vi venderemo e disporremo di voi secondo il volere della Corona." L'arrivo di Colombo nelle Americhe fu l'inizio di decenni di massacri, schiavitù, sfruttamento e stermini di intere tribù di Indios, nome detestato oggi da molti delle popolazioni indigene perché legato al passato della dominazione spagnola. 
Ai tempi di Colombo, si stima che fossero circa 30 milioni gli indigeni presenti nella zona compresa tra l'Istmo di Panama e la Terra del fuoco.Nella regione andina vivono ancora oggi i discendenti di queste popolazioni: in Bolivia gli indigeni rappresentano circa il 50% della popolazione divisi in una trentina di gruppi tra cui i Quechuas (2,5 milioni), gli Aymara (2 milioni), i Chiquitano (180.000) e i Guaraní (125.000); mentre in Colombia gli indigeni sono il 2% della popolazione, ma con una varietà etnica, culturale e linguistica grandissima composta da ben 84 diversi gruppi etnici e 64 idiomi. Dopo la Bolivia, il Perù è il paese in cui la popolazione Aymara è maggiormente presente con circa 300.000 persone,insieme al gruppo deiQuechuas. In Chile il maggior gruppo indigeno è composto dai Mapuche che con circa 600.000 membri compongono circa il 6% della popolazione totale insieme ad altri gruppi più piccoli tra cui anche gli Aymara. Comune a tutte queste popolazioni indigene è la lotta per la sopravvivenza, per mantenere in vita lingue, identità, usi e tradizioni che rischiano di soccombere ad una politica di assimilazione. 
Con una risoluzione del 23 dicembre 1994, l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha deciso di celebrare la
 Giornata Internazionale delle popolazioni indigene che si tiene ogni anno il 9 agosto allo scopo di "rafforzare la cooperazione internazionale per la soluzione dei problemi che i popoli indigeni devono affrontare in ambiti quali la cultura, l'educazione, la salute, i diritti umani, l'ambiente e lo sviluppo sociale ed economico." Dopo una prima decade di attività, nel 2004 è iniziata la seconda decade, stabilendo così fino al 2014 la promozione di attività e progetti che mirano alla tutela e alla promozione dei diritti degli indigeni nel mondo. E ancora nell'aprile del 2000, la Commissione per i Diritti Umani ha deciso la creazione di un Forum Permanente delle Nazioni Unite su tematiche legate agli indigeni.
Ripercorrendo le vicende che dallo sbarco di quella nave nel 1492 hanno determinato la storia di intere popolazioni, viene da chiedersi come sarebbe stato il loro destino se Colombo avesse realmente raggiunto le Indie.

Da EURAC - Accademia Europea di Bolzano, Centro di ricerca e formazione.

 

venerdì 15 maggio 2009

Guida all'esame di maturità

Nella prima prova dell'esame di maturità si può scegliere tra 4 diversi tipi di prova scritta:

1- Analisi e commento di un testo letterario o non letterario, con le indicazioni sul modo di procedere.
2- Saggio breve o articolo di giornale.
3- Tema storico su un argomento del programma svolto nell’ultimo anno di corso.
4- Tema di attualità.

1- Analisi del testo e commento letterario
Per sviluppare al meglio questa prova è necessario applicare le capacità critiche che si sono acquisite nel corso degli studi. Lo studente potrà svolgere un'ottima prova anche se l'autore o il testo non gli sono molto noti, purchè si lasci guidare dalla sua conoscenza del contesto in cui nasce il testo da analizzare e commentare, e segua attentamente le indicazioni della traccia. Le domande del questionario aiuteranno lo studente nella comprensione del testo e lo orienteranno nell'interpretazione d'insieme e nella contestualizzazione.

La Commissione in questa prova valuterà:
- le conoscenze relative al testo proposto e al quadro di riferimento; 
- lo sviluppo critico dell’argomentazione; 
- la correttezza e la proprietà linguistica; 
- l’organicità e la coerenza del discorso; 
- la capacità di dare giudizi motivati e personali.

2 - Il saggio breve
Il saggio breve è un testo argomentativo basato sull’intento di "dimostrare" una determinata tesi (un’idea-forza) mentre il tema tradizionale è un testo espositivo, in cui i contenuti non sono necessariamente strutturati per un certo obiettivo, ma semplicemente esposti, secondo un criterio personale e senza alcun riferimento ad un lettore implicito diverso dal docente o da una eventuale commissione. Le principali differenze tra saggio breve e tema tradizionale sono le seguenti:
cambia l’impostazione traccia-contenuto. Non ci troviamo più di fronte ad una traccia a tesi che richiede una riflessione su un dato argomento che ci guida anche nell’esposizione e provvista a priori di una certa mentalità, ma un soggetto da cui è necessario, a seconda della tesi che si vuole dimostrare, "estrarre" la traccia. Ovviamente si tratta di un’operazione preliminare; perché una dimostrazione sia convincente, è necessario che si appoggi su una serie di prove. Nell’ultimo esame di stato sono state fornite ai candidati delle pezze d’appoggio per ciascun "ambito" (artistico-letterario; socio-economico; storico-politico; tecnico-scientifico). In assenza di tali materiali, o in aggiunta ad essi, le prove devono essere tratte dalle proprie conoscenze o esperienze; il saggio breve deve seguire una scaletta. Tale scaletta può essere esplicita (per paragrafi, per punti) oppure implicita. Deve comunque essere possibile per chi legge l’elaborato comprendere immediatamente che si tratta di un saggio breve, quali sono i suoi passaggi, quali sono le sue conclusioni. A tale proposito si suggerisce di adottare uno schema di tipo classico in questo genere di trattazione: presentazione della tesi; svolgimento delle argomentazioni con compendio di materiali informativi; conclusioni; il saggio breve deve rispondere a determinati requisiti. Alcuni di questi sono comuni anche alla tipologia del tema tradizionale: la pertinenza, la coerenza e la conoscenza adeguata dell’argomento. Il requisito peculiare del saggio breve è la funzionalità delle argomentazioni alla dimostrazione della tesi: le prove a cui ci si affida devono essere convincenti e pertinenti; tutto ciò che è superfluo o non funzionale alla tesi da dimostrare è da scartare; il saggio breve, come dice la sua stessa definizione e come si può intuire dal punto precedente, deve essere breve: se la funzionalità è la peculiarità strutturale del saggio breve, la sintesi ne è quella formale. Nel testo del ministero della Pubblica Istruzione si raccomanda di non superare le quattro mezze pagine di foglio protocollo; il saggio breve ha un lettore implicito che deve essere qualificato: rivista specialistica, fascicolo scolastico ecc. Dalla destinazione prescelta dipendono il tipo di linguaggio, il genere di prove che si adducono, il taglio dell’elaborato (più o meno "scientifico"); privilegiando la funzione conativa a scapito di quella emotiva il saggio breve deve comunque avere un taglio "impersonale": non è consentito ricorrere a formule come "secondo me" o a frasi ad effetto e ed è sempre bene attenersi ad un tono distaccato
Lo schema espositivo 1. enunciazione: inquadrare molto brevemente i termini del problema; presentare la tesi da dimostrare e le maggiori problematiche connesse.
2. percorso critico-informativo: in questa fase, che materialmente è il nocciolo dello scritto, la struttura deve essere chiara e le prove evidenti coerentemente con quanto premesso nell’enunciazione. Nell’esposizione si può utilizzare lo schema della "reductio ad absurdum"; affiancare due posizioni contrapposte e criticarle punto per punto lasciando emergere il proprio punto di vista; se il momento informativo è prevalente si può anche limitarsi a esporre i vari argomenti in modo "oggettivo" senza prendere apertamente posizione.
3. conclusione: si conferma brevemente la tesi di partenza. Si può usare una forma di congedo più personale ma senza eccedere perché la funzione persuasiva insita nel modello del saggio breve non è quella di vendere qualcosa.

…o l’articolo di giornale
In quale giornale? Lo studente dovrà dichiarare il tipo di "giornale" (o tutt'al più settimanale) sul quale ipotizza la pubblicazione: "quotidiano di informazione" di carattere nazionale o regionale, giornale specializzato, settimanale ad alta tiratura, pubblicazioni periodiche di associazioni, e non necessariamente con il nome di una testata realmente esistente. in quale settore? Lo studente dovrà anche indicare il settore specifico in cui immagina di collocare il suo articolo: in prima pagina, in pagine di cronaca estera o di cronaca nazionale, dedicate a fatti di politica, di costume, di economia, o nelle sezioni speciali dedicate alla scienza e alla cultura, agli spettacoli, allo sport, alla cronaca cittadina. come scrivere Anche per questo tipo di testo vigono criteri che regolano l'assetto della forma compositiva, sia nella struttura complessiva (abbastanza lineare ed eventualmente suddivisa da titolazioni intermedie e da battute di intervista), sia nel registro linguistico. Questo ultimo dovrà risultare il più possibile coerente con il tipo di destinazione e con le caratteristiche della specifica sede giornalistica in cui il testo è collocato; il titolo Nel caso dell'articolo di giornale (o di periodico) assume maggior rilievo la funzione del titolo: sia per la possibile sua articolazione in più parti, eventualmente caratterizzate anche tipograficamente, sia per la ben nota funzione di forte effetto di orientamento del lettore. altri accorgimenti La produzione di un testo giornalistico comporta un ulteriore accorgimento. Poiché l'argomento può ben essere, in sé, non collegato in via diretta e immediata all'attualità, e poiché, d'altra parte, la sua trattazione in forma di articolo giornalistico si giustifica solo sulla base di una sua "attualità", è necessario trovare in tali casi un riferimento (immaginario o abbastanza realistico) a circostanze vicine nel tempo (una ricorrenza, una scoperta, una mostra e simili) che rendano verosimile la trattazione giornalistica di quell'argomento per rivolgersi a un pubblico di lettori contemporanei.

Per saggio, articolo e tema la Commissione valuterà:
- la qualità con cui sono state selezionate le informazioni; 
- la ricchezza delle conoscenze; - lo sviluppo critico dell’argomentazione; 
- la corretta proprietà linguistica; - l’organicità e la coerenza del discorso; 
- la capacità di dare giudizi motivati e personali

3 e 4 - Il tema
Sia il tema storico che quello di attualità chiedono allo studente di sviluppare un ragionamento. Questo dovrà quindi fare riferimento al bagaglio informativo attendibile e qualificato acquisito a scuola attingendo anche alle sue curiosità ed agli interessi extrascolastici. Per questa prova non viene indicata l'estensione e quindi lo studente potrà muoversi liberamente, stando però attento ad evitare inutili eccessi.

Link agli ultimi esami

venerdì 24 aprile 2009

L'UMANESIMO




"L'uomo è la misura di tutte le cose"

Uomo vitruviano, Leonardo da Vinci, 1490 ca. 


Cos’è? Corrente culturale caratterizzata da studi classici, valori umani, laici e storici

Dove? Firenze  Italia  Europa

Quando? XIV – XV secolo

Perché a Firenze?

La cultura fiorentina dell’epoca ha due fonti:

1) tradizione greco – romana – cristiana (letterati, giudici, notai, clero, aristocrazia)

2) tradizione vernacolare (mercanti, artigiani, popolo)

Quello che fece la differenza rispetto alle altre città – Milano, Bologna, Napoli, Padova o Venezia – fu l’OSMOSI tra le due culture.

In chimica il termine osmosi indica la diffusione del solvente attraverso una membrana semipermeabile dal compartimento a concentrazione minore di soluto verso il compartimento a concentrazione maggiore di soluto

1. l’osmosi

Il concetto è chiarito dall’analisi delle diverse componenti della società tre-quattrocentesca fiorentina

LUOGHI : mercato vecchio – piazza Signoria – quartiere. Ovunque si trova una grande eterogeneità e condivisione degli spazi di tutte le componenti sociali.

POLITICA: nella Signoria rappresentanti degli artigiani. La cittadinanza discuteva accanitamente di politica sotto le logge pubbliche.

LAVORO: le Arti inquadravano tutta la catena produttiva, mettendo in relazione con strette connessioni gli interessi delle varie classi sociali.

L’osmosi tra popolo ed élite (politica, culturale ed economica) è la prima peculiarità della città di Firenze che spiega la vivacità intellettuale e l’apertura verso il nuovo.

2. Gli esempi

Il secondo aspetto è la presenza di due modelli eccezionali: Dante Alighieri per la letteratura e Giotto di Bondone per l’arte. Entrambi operarono un primo fondamentale rinnovamento. La Divina Commedia riflette i valori universali tipici del Medioevo attraverso la cultura popolare fiorentina. L’uso del volgare infatti non è una semplice traduzione di un’opera che poteva essere scritta in latino: il linguaggio riflette umori, passioni, tradizioni di una comunità. Ed è questa umanità popolare che entra in contatto con l’alta cultura emanata da un poeta dottissimo. Il suo esempio di contaminazione tra le due culture sarà ripetuto – in forme diverse – sia da Boccaccio sia da Petrarca.

Boccaccio descriverà – per la prima volta – il mondo cittadino in tutti i suoi aspetti, con una visuale laica (non determinata cioè da disegni divini e da visioni morali ultraterrene); Petrarca viceversa ribadisce una visuale “alta” aristocratica, ma dà un apporto determinante lavorando sulla lingua e costruendo, con i suoi ritrovamenti, una biblioteca del mondo classico: Virgilio, Cicerone, Platone, Aristofane ecc. ecc.

Le opere di Giotto introdussero elementi di realismo e umanità nei tradizionali soggetti di ispirazione cristiana.

3. La scuola

A Firenze c'erano molte scuole di base; il numero degli alfabetizzati e di chi sapeva fare i conti era alto per l'epoca (serviva per il commercio e il cambio); le Corporazioni facevano la formazione per i suoi lavoratori. Mancava però una Università di grande prestigio. A Bologna, Padova, Milano, Parigi esistevano influenti istituti universitari, in cui studiavano tutti i giovani dell'alta società italiana. A Firenze fu istituita una scuola universitaria, lo “Studium”, che ebbe scarsa fortuna. Paradossalmente però l’assenza di un centro autorevole in grado di trasmettere la vecchia scienza scolastica favorì lo sviluppo di un modo nuovo di insegnare e apprendere, basato su letture comuni e sulla libera discussione di testi classici originali; furono abbandonate le mediazioni, i commenti e le “glosse” che erano invece lo strumento abituale del sapere scolastico tramandato dalle accademie universitarie e ecclesiastiche.

Importante anche l’oggetto delle dispute. Le opere scelte – Senofonte, Cicerone, Platone – non parlavano di teologia o filosofia, bensì di politica, di governo, di libertà civili, di educazione dei giovani. Uno studio rivolto alle questioni concrete che molto aveva a che fare con le necessità dei fiorentini di relazionarsi con il resto del mondo. “La vera grande università dei fiorentini – scrive Franco Cardini – non è lo Studio, pur tanto incoraggiato dall’arcivescovo Antonino: è il mondo.”

Un nuovo metodo (discussione informale in un convivio o circolo) e un nuovo contenuto (testi classici, opere politiche e civili). 

Ad accendere la passione per gli studi classici è il maestro (proveniente da Costantinopoli) Emanuele Crisalora, il quale oltre alle lezioni presso lo Studio, animava le discussioni dei numerosi cenacoli letterari di inclinazione umanistica.

Il più importante di questi circoli letterari era il Convivio di Coluccio Salutati (che si teneva nel convento agostiniano di Santo Spirito). Salutati fu maestro per molti giovani futuri dirigenti – come Bruni, Bracciolini e altri – e soprattutto “fu un ponte tra il mondo degli studi e quello del commercio e della politica”.

Egli fu infatti cancelliere della Repubblica, un ruolo politico di garanzia: una via di mezzo tra il ministro degli esteri e l’ambasciatore, dal 1375 al 1406. Ed applicò la cultura “riscoperta” al mondo in cui viveva. Le sue lettere scritte in perfetto “stile ciceroniano” con riferimenti letterari e storici, con un rigoroso sillogismo  servirono da modello a tutte le cancellerie italiane. Si dice che Giangaleazzo Visconti avrebbe esclamato – irritato dall’ennesima corrispondenza con il cancelliere di Firenze – che una lettera di Salutati era più efficace di un esercito di mille lance.

La figura di Salutati e il suo ruolo politico – proseguita da altri importanti umanisti come Leonardo Bruni e Carlo Marsuppini – introducono l’ultimo aspetto legato all’umanesimo fiorentino: il sistema politico.

4. La politica

Firenze ha attraversato il Medioevo controllata da poteri superiori (regni barbarici e poi impero carolingio), durante i quali la città era rimasta praticamente ferma in ogni aspetto. Sebbene nella Divina Commedia Dante faccia l’elogio dell’antica Firenze (per voce del suo avo Cacciaguida nei canti XV-XVII del Paradiso) è con la tumultuosa vita politica autonoma che la città diviene ricca, grande, importante e culturalmente all'avanguardia. Quando il potere politico è ben saldo nelle mani di un regnante – qualunque sia la sua forma istituzionale – la cultura rimane prigioniera in un tradizionalismo inerte. Viceversa la mancanza di un centro forte obbliga allo scambio di idee, allo scontro, all’incontro … si afferma una cultura più tollerante, più concreta, più aperta alle novità; spesso più popolare. Anche se il corpo elettorale era ristretto le testimonianze di una qualche influenza delle persone comuni nei rappresentanti istituzionali sono numerose: nelle furiose discussioni in piazza, nelle dinamiche del commercio e del lavoro, nelle istituzioni di quartiere (parrocchie, confraternite, Arti) ecc. 

Il risultato è che a Firenze la diversità di opinione e di credo religioso ha avuto una tolleranza molto maggiore che altrove. Il ruolo di censore della Chiesa è stato ostacolato dalle leggi comunali già a partire dal XIII; i processi per eresia furono pochissimi: nel Trecento i “fraticelli” non furono disturbati dall’autorità (quando catàri e valdesi negli stessi anni conobbero una persecuzione drammatica); la condanna a morte di un presunto stregone sollevò una grande opposizione popolare. Un secolo più tardi, nel 1493, un predicatore francescano, Bernardino da Feltre, si scagliò contro il Comune che permetteva agli ebrei di vivere a Firenze e prestare denaro: fu espulso nel giro di poche settimane.

L'intolleranza antisemita giunge a Firenze in epoca "moderna". Sarà Cosimo I dei Medici, pochi anni dopo aver abbattuto la repubblica, a istituire, nei pressi del mercato vecchio, il ghetto per gli ebrei.

Le personalità di spicco dell’umanesimo fiorentino sono:

Coluccio Salutati

Leonardo Bruni

Leon Battista Alberti

Poggio Bracciolini

martedì 7 aprile 2009

6. Storia della Repubblica di Firenze

Il David di Michelangelo, simbolo della Repubblica di Firenze (1504)

Lezione 6 (21.03.2009) - Cosimo, Lorenzo e l'ultima Repubblica

Cosimo il vecchio fu un Signore informale, cioè non ricoprì mai cariche pubbliche.Nel tempo in cui governò, rimase a Firenze l'istituzione repubblicana. Però la famiglia Medici controllava e manipolava le liste elettorali.

Cosa fece Cosimo Il Vecchio?
1.
pace con Milano. Firenze era in contrasto con Milano dai primi del ‘400. Una lunga contrapposizione che alternava anni di battaglie con anni di “guerra fredda”. Nel 1440 ebbe luogo la battaglia di Anghiari (al confine tra la Toscana e l'Umbria) che ebbe una grande propaganda e la fama di aver liberato Firenze da Milano. NB. Nel corso delle battaglie, morivano pochissimi uomini (erano i tempi degli eserciti mercenari). Così Machiavelli ricorda, con una certa ironia, l’episodio di Anghiari: “Ed in tanta rotta e in si lunga zuffa che durò dalle venti alle ventiquattro ore, non vi morì che un uomo, il quale non di ferite ne d'altro virtuoso colpo, ma caduto da cavallo e calpesto spirò”. La vera novità fu l’ascesa della casata Sforza alla guida della Signoria di Milano. I successori dei Visconti, infatti, erano amici dei Medici. Dal 1454 Firenze divenne alleata di Milano.
2. Rilancia l’economia. Firenze si era indebolita a causa delle guerre. Il padre di Cosimo aveva promosso la riforma decisiva per la ripresa economica della città. Era necessario aumentare le entrate e, imponendo tasse più alte ai ricchi, si poteva trarre considerevoli vantaggi. Nacque così il catasto(1427): un metodo per conoscere i possedimenti di ogni persona, molto più sicuro rispetto a quello usato precedentemente. Quest'ultimo, infatti, consisteva nel chiedere una stima approssimativa dei beni dell'individuo ai vicini di casa. Naturalmente tra i più colpiti ci sarebbero stati i Medici stessi, ma questo non era fondamentale perché la ricchezza dei Medici era legata alla ricchezza della città. L’importante era espandere il sistema economico che prevedeva la vendita all’estero dei prodotti manifatturieri e orefici fiorentini e, con i grandi ricavi, investire nella città e in attività di cambio e prestito (attività che a sua volta moltiplica i profitti e le possibilità di investimento nelle attività artigiane). Cosimo il Vecchio era il proprietario della Banca di Calimala,la più importante d’Europa, con filiali a Londra, Lione, Bruges, Roma, Napoli, che lavorava con interessi altissimi (50% o più)..
3. Mantenne la Repubblica. In realtà la politica della città veniva fatta in via Larga, nella dimora privata di Cosimo, ma le cariche pubbliche rimasero intatte. Talvolta i consigli bloccarono iniziative di legge promosse dalla Signoria (con priori e funzionari messi lì da Cosimo) e – soprattutto – fu mantenuto il principio che è la norma giuridica e non l’arbitrio del singolo, a governare sulla città. Anche il mantenimento della libertà di parola rimase un punto a favore della signoria di Cosimo.
4. creò un nuovo modello sociale. A differenza dei precedenti leader economici della città, Cosimo ostentò l’appartenenza ad una élite. Stimolò e propose un modello di stile neo-aristocratico (alla maniera dei principi dell’impero romano) fatto di lusso, ma anche di cultura e modi affabili. Nel 1445 Cosimo fece costruire Palazzo Medici da Michelozzo con lo scopo di esternare una vita lussuosa. Le altre famiglie ricche della città lo vollero imitare con esiti disastrosi: infatti i Pitti e gli Strozzi andarono in rovina per costruire palazzi più grandi di quello dei Medici.
Nel 1464 morì Cosimo. Dopo una breve parentesi del figlio Piero, alla guida della famiglia e della città andò il nipote, Lorenzo (detto poi “il Magnifico”) ,che era molto portato per la politica.Nel 1478 ebbe luogo la famosa congiura dei Pazzi. La famiglia concorrente dei Medici, in accordo col Papa, ordì una congiura per uccidere Lorenzo e il fratello Giuliano, per porre fine alla dinastia medicea. Giuliano fu ucciso e Lorenzo ferito. I Pazzi furono cacciati dalla città.

Cosa fece Lorenzo Il Magnifico?
1_ represse Prato e Volterra.
2_indebitò la Compagnia di Calimala e Firenze
3_organizzò un "sistema di equilibrio" tra gli stati italiani, che garantì alla penisola alcuni anni di pace. Ma era un sistema molto fragile,basato su rapporti personali.
4_fu mecenate e propagandista dell'arte e della cultura fiorentina. Riunì attorno al suo cenacolo Pico Della Mirandola, Poliziano, Botticelli e altri.

Nel 1492 morì Lorenzo Il Magnifico. E’ un anno ad alto valore simbolico per la civiltà occidentale. Cristoforo Colombo arriva nelle terre inesplorate della futura America e la Spagna riconquista Granada cacciando dal regno sia gli arabi sia gli ebrei.

La fuga dei Medici
Scoppiò un conflitto tra Carlo VIII re di Francia e il regno di Napoli, ora dominato dagli Aragonesi (in pratica la Spagna). Piero dei Medici voleva mantenere la neutralità ma, quando le truppe francesi passarono dalle parti di Firenze, fu preso da una crisi di panico e corse ad arrendersi: in cambio di non essere assalito stipulò una alleanza con la Francia e cedette Piombino, Pisa e Livorno (le fortezze sulla costa). Per ritorsione i fiorentini cacciano i Medici dalla città.Tornò una vera Repubblica e Firenze rimase alleata con la Francia.In città si affermò la figura di Girolamo Savonarola, un frate domenicano di grande carisma e di fede integralista. I suoi sermoni si concludevano nei “roghi della vanità”, dove venivano materialmente bruciati oggetti considerati peccaminosi: maschere carnevalesche, trucchi femminili e libri come il Decameron di Boccaccio. Savonarola poi esagerò mettendosi contro il Papa (accusandolo di corruzione) il quale lo scomunicò e gli mise contro i "poteri forti" della città: una Signoria a lui contraria lo fece arrestare, torturare e condannare a morte. L’esecuzione, per impiccagione e rogo, avvenne in Piazza Signoria nel maggio 1498.
La repubblica durò fino al 1512; ed ebbe una vita più che onorevole. Si resse sulla figura del gonfaloniere Pier Soderini e del cancelliere Machiavelli e riuscì ad ampliare un poco la rappresentanza elettorale. Venne realizzato il Salone dei Cinquecento, che fu affrescato da Michelangelo Buonarroti e Leonardo Da Vinci, con scene della storia di Firenze. L’alba del Cinquecento fu l’ultima grande stagione della cultura e dell’arte fiorentina, e segnò, in un certo senso, il suo apogeo. Michelangelo realizzò la statua del David: il simbolo della piccola repubblica di fronte ai giganti dell’impero e del papato; Leonardo da Vinci dipinse capolavori come la Gioconda e portò avanti gli studi in tutti i campi del sapere umano.
Dal punto di vista politico la repubblica registrò un miglioramento economico (grazie a quindici anni di pace) e la riconquista di Pisa; classico esempio della doppia morale democratica: libertà per noi, sudditanza per gli altri.

Perché finì l’indipendenza di Firenze?
La repubblica finì perché – dopo secoli – Firenze si ritrovò dalla parte sbagliata. La Francia era in declino rispetto alla Spagna; il Vaticano, divenuto nel frattempo ambiente familiare ai Medici, si mise dalla parte dei più forti e pose la conquista di Firenze tra gli obiettivi dell’alleanza. Nel 1512 le truppe spagnole rimettono uno dei Medici alla guida della città. Leonardo da Vinci e Michelangelo lasciano la città. Anche Niccolò Machiavelli si ritrova esiliato a San Casciano. Il nuovo papa Leone X è un esponente dei Medici.

Intorno al 1520 il re di Spagna Carlo V, per una coincidenza dinastica, si ritrovò a regnare su: Spagna, Austria e Sacro Romano Impero, Olanda, Italia del sud e tutto il Sudamerica (da poco conquistato da avventurieri e soldati spagnoli). Forte di questo potere si decise a risolvere definitivamente il contenzioso con il Papa - ancora un esponente dei Medici - Clemente VII.
1527 Sacco di Roma
Con un esercito misto di spagnoli e tedeschi (i temibili lanzichenecchi) Carlo V conquista la città di Roma saccheggiandola. Approfittando del caos, i fiorentini cacciarono nuovamente i Medici e proclamarono, ancora una volta, la Repubblica. Ma nel trattato di pace i due grandi antagonisti del Medioevo si accordano così: l’Italia alla Spagna e Firenze ai Medici. Le truppe imperiali pongono sotto assedio la città per dieci mesi, decretandone la caduta il 12 agosto 1530.

La strenua resistenza – anche Michelangelo rientrò per dare il suo contributo progettando nuove fortificazioni – evitò il saccheggio della città: è in questo contesto che si svolse la celebre partita del calcio storico narrata in apertura.
Appunti di Maria Vittoria Dari

I Medici abolirono il sistema elettorale e instaurarono un Ducato, avente come primo esponente Cosimo I (governò con prudenza e saggezza). Alla dinastia medicea (in realtà un protettorato della Spagna) succederà il Granducato dei Lorena (Austria), quindi il regno dei Savoia (Italia monarchica) con l'appendice del regime fascista. Firenze recuperò l’indipendenza – all’interno dell’Italia repubblicana - in seguito alla vittoria militare contro la Germania e l’Italia fascista. Era l’anno 1944. E curiosamente i giorni 11 e 12 agosto.

venerdì 20 marzo 2009

5. Storia della Repubblica di Firenze


Lezione 5 - Dai Ciompi ai Medici (13.03.09)

Il dopo peste fu caratterizzato da numerosi problemi: carenza di manodopera; chiusura botteghe, carestie, riduzione della popolazione (da 100mila a circa la metà). Però non furono persi i grandi capitali accumulati e soprattutto la capacità e l'abilità dell'artigianato di produrre manufatti di altissima qualità. Peraltro la spiccata intrapendenza e intelligenza affaristica giocarono un ruolo importante nel mondo del dopo crisi (come ha mostrato Boccaccio nel Decameron).

Le botteghe riaprirono, assunsero lavoratori immigrati e l'Europa fu nuovamente attraversata dai mercanti fiorentini impegnati a vendere pannilana pregiati e a offrire prestiti cospicui.

1378  Tumulto dei Ciompi

E' considerato l'episodio più significativo dei conflitti sociali dell'Europa medievale.

I lavoratori operai della Lana, non iscritti all'Arte e chiamati appunto "ciompi", erano i più sfruttati. Il tumulto durò per tutta l'estate di quell'anno. Gli artigiani organizzarono manifestazioni, crearono scontri e occuparono i palazzi del potere e le botteghe della Lana. Il leader di tutto questo fu Michele di Lando. Le famiglie arrivate in città da poco tempo, sostenevano le classi più basse, come i ciompi; questo perchè, come loro, erano esclusi dalle liste elettorali. Anche un rappresentante dei Medici, allora arrivati da poco tempo dal Mugello, sostennero il tumulto. La rivolta ottenne alcuni risultati: a fine estate vennero create tre nuove Arti, tra cui quella dei ciompi. Dopo tre anni ci fu un governo di restaurazione e tornò tutto come prima

Inizio '400

Le città italiane più ricche erano, insieme a Firenze, Milano (signoria) e Venezia (oligarchia). Firenze inizia una serie di guerre contro Milano, con l'alleanza di Venezia, mentre conquista Arezzo e altri territori circostanti (Montepulciano, Pisa, Cortona, Livorno), allargando il territorio in modo che la città fosse più sicura. Milano attacca Firenze e la isola con un blocco commerciale. Quando Firenze sta per arrendersi, a Milano morì il Signore della città Giangaleazzo Visconti e la città fu salva. Firenze si salva sempre per fortuna (anche con Napoli il decennio successivo). E' in questo periodo che si si sviluppa l'umanesimo, e si crea il mito di Firenze che rappresenta la libertà dalle tirannie. I simboli sono il leone e il giglio.

Intanto in città prende potere un'altra famiglia: gli Albizzi (guerrafondai). A seguito della sconfitta di Lucca (1433) la famiglia Albizzi fu cacciata e la guida informale del governo andò a Giovanni dei Medici: reinstaura i rapporti con Milano e sviluppa l'economia. I Medici diventarono la famiglia di riferimento della città. Soprattutto con il figlio di Giovanni: Cosimo "il vecchio"

Cosimo fu signore informale dal 1434 al 1464; lui non intaccò il sistema repubblicano, con i priori estratti a sorte e le altre magistrature a breve durata; semplicemente gestiva gli elenchi elettorali piazzando uomini di sua fiducia in tutte le funzioni importanti.

“Amava regger lo stato dal fondo della sua casa di via Larga”

appunti di Chiara Montanaro

martedì 3 marzo 2009

Firenze nel 1348. Il Decameron, di Giovanni Boccaccio


Nel 1349 Giovanni Boccaccio scrive un “instant book” sugli effetti della peste a Firenze. La terribile epidemia, causata da un batterio e diffusa attraverso le pulci, era giunta in Italia nell’anno precedente, causando una strage senza precedenti. Circa un terzo della popolazione morì nell’arco di pochi mesi: le città si svuotarono e con esse anche i riferimenti morali e istituzionali persero di significato. Era la fine del mondo: la fine del mondo medievale. Nessuno, meglio di Boccaccio, riuscì a cogliere il senso della trasformazione di quegli anni. Un punto di rottura ma anche un punto di passaggio, un processo di cambiamento dalla civiltà ultra-religiosa incentrata sui 3 ordini (cavalieri, chierici e lavoratori) a una civiltà mercantile e umanista.

Il titolo “Decameron” è declinato dal greco e significa “dieci giornate”.  Narra le vicende di dieci giovani aristocratici fiorentini – sette donne e tre uomini – che per sfuggire alla peste si ritirano in una villa fuori città.

Prima di iniziare il racconto Boccaccio inserisce un Proemio, in cui spiega perché ha scritto l’opera e a chi è rivolta, e una introduzione in cui tratta con taglio documentaristico gli effetti della peste. Sono storie divertenti, scritte per divertire, in particolare divertire le fanciulle; ma sono storie scritte all’ombra della tragedia, della peste. Questo aspetto è centrale nell’intera opera.

Nell’introduzione viene descritta la malattia, come si manifesta, quanto dura, che tipo di sofferenze provoca ecc. Ma accanto all’analisi medica, Boccaccio fa anche un’analisi sociale. Ci dice che a Firenze non c’era più umanità, nessuno si aiutava; la peste aveva distrutto i tre ordini fondamentali: la famiglia, la legge e la religione.

La famiglia era negata dalla paura e dall’egoismo (parenti e amici che fuggono anziché aiutare)

La legge era negata dall’assenza di giudici e polizia (delinquenti indisturbati a giro per la città)

La religione era negata dall’assenza del lutto. Ai funerali la gente sghignazzava contenta di essere sopravvissuta un giorno in più. Le preghiere non salvano dal contagio.

Tutte le leggi umane e divine sono cadute. Occorre un percorso di ricostruzione morale. Boccaccio promette divertimento, ma propone un percorso di salvezza laico.

La storia

Sette belle ragazze si ritrovano alla messa di Santa Maria Novella; una di loro (la più grande, 28 anni) chiamata Pampinea propone alle altre una vacanza di 15 giorni fuori città. Per convincere le amiche Pampinea descrive nuovamente la peste (in tono meno analitico e più emotivo). Il Decameron parte dalla peste.

Va bene, dicono le altre, ma ci vogliono gli uomini! 

"L'altre donne, udita Pampinea, non solamente il suo consiglio lodarono, ma disiderose di seguitarlo avevan già più particularmente tra sé cominciato a trattar del modo, quasi, quindi levandosi da sedere, a mano a mano dovessero entrare in cammino. Ma Filomena, la quale discretissima era, disse:Donne, quantunque ciò che ragiona Pampinea sia ottimamente detto, non è per ciò così da correre a farlo, come mostra che voi vogliate fare. Ricordivi che noi siamo tutte femine, e non ce n'ha niuna sì fanciulla, che non possa ben conoscere come le femine sien ragionate insieme e senza la provedenza d'alcuno uomo si sappiano regolare. Noi siamo mobili, riottose, sospettose, pusillanime e paurose; per le quali cose io dubito forte, se noi alcuna altra guida non prendiamo che la nostra, che questa compagnia non si dissolva troppo più tosto, e con meno onor di noi, che non ci bisognerebbe; e per ciò è buono a provederci avanti che cominciamo" Decameron, Introduzione giornata 1.

Così propongono la cosa a tre giovani presenti in chiesa – Panfilo, Filostrato e Dioneo – i quali accettano con entusiasmo. Le altre fanciulle sono: Fiammetta, Emilia, Lauretta, Elissa e Neifile.

Giunti alla villa si danno delle regole: nelle ore calde si raccontano novelle. Una per uno, tutti i giorni. In totale sono cento novelle. Ogni giorno viene nominato un re o una regina che prende le decisioni, compreso il tema dei racconti (Dioneo ha però una delega e racconta sempre a tema libero). Il venerdì è il giorno dedicato alle preghiere, mentre il sabato le donne devono pettinarsi. NB sacro e profano valgono allo stesso modo! Si comincia ad avvertire il segnale di una profonda trasformazione.

Il “disegno non causale” del Decameron è stato intuito da uno studioso francese, Federico Neri negli anni ’30. Le dieci giornate sono organizzate secondo una specie di percorso salvifico laico, quasi un parallelo con il percorso salvifico divino narrato da Dante nella Commedia.

Ecco schematicamente la struttura del percorso.

Giornata 1 – (tema libero, in realtà novelle di corruzione e vizi) – mondo nel caos, prevale il vizio e la corruzione, soprattutto in uomini di potere e di chiesa.

Giornata 2 – (lieto fine) – mondo nel caos, anche se finisce bene.

Giornata 3 – (ingegno contro il fato) – intelligenza per soddisfare piaceri parziali e personali; non si cambia il mondo.

Giornata 4 – (amori infelici) – le passioni personali diventano tragedie

Giornata 5 – (amori felici) – talvolta le cose possono andare bene

In questa prima parte c’è una specie di analisi della realtà. Prima di cominciare Dioneo disse: “non voglio sentire una parola sulla peste!” Tutti d’accordo, ma poi le storie sono tutte di degrado morale e disfacimento. E’ il mondo medievale che sta morendo. I suoi attori non offrono più garanzie, i suoi valori non danno risposte di fronte alla realtà.

Il nuovo mondo, che nascerà dopo la peste, dovrà avere delle virtù diverse. La seconda parte mette in circolo queste novità. E’ la strada per ripartire, alcune indicazioni sul mondo che sarà. La giornata 6 è introdotta da una canzone goliardica di Dioneo (l’orrore della peste inizia a stemperarsi) e da una battibecco mattutino tra due servi: Tindaro e Licisca. La scenetta diverte i giovani narratori e pone in primo piano il tema del sesso come elemento di rottura rispetto alle rigide convenzioni religiose.

Giornata 6 – (motto per risolvere situazioni) – la battuta arguta divide il mondo in chi capisce e chi no.

Giornata 7 – (Beffe di donne a uomini) – le gerarchie immodificabili possono essere modificate. Donne astute tradiscono i loro uomini che appaiono degli stupidi. E’ forse il mondo ideale delle giovani fiorentine? Qui si ribalta il rapporto uomo donna, ma il concetto è mutuabile anche al rapporto ricco-povero; re-popolo. Non è come alle novelle della giornata 3, dove i rapporti non sono intaccati, e l’ingegno offre benefici personali e momentanei.

Giornata 8 – (Beffe) – è un ritorno alla realtà. Le beffe definiscono sì i nuovi rapporti, tra chi è intelligente e chi no, ma in genere riguardano gli uomini. Non è ancora tempo di parità! Nella storia si sente avvicinarsi l’ora del rientro in città, e quindi il contesto si fa leggermente più realistico.

Giornata 9 – (libero) – è un riassunto delle puntate precedenti. Le vacanze stanno per finire.

Giornata 10 – (amore e generosità) – le valigie sono già pronte per il rientro in città. Le ultime storie sono di una bontà esagerata; elementi di magia, assenti fino a quel momento, e ambientazioni tutte lontano da Firenze, chiariscono il clima di irrealtà delle novelle. Servono per farsi coraggio!

In questa seconda parte sono esaltati valori molto diversi da quelli medievali; prevale infatti la leggerezza di certe narrazioni (e l’assenza della condanna morale religiosa), la flessibilità mentale nel risolvere i problemi, l’intelligenza, la fiducia nei propri mezzi, la consapevolezza delle possibilità umane. Anche il contesto è nuovo: è il mondo dei mercanti e degli affari, delle città e dei viaggiatori. Boccaccio disegna un mondo laico, caotico e disordinato, visto “come se Dio non ci fosse”, in cui ognuno deve trovare dentro di sé le risorse per superare le crisi e le tragedie (indipendentemente dalla fede personale). La società che emerge dal Decameron è una società a 360°, con mercanti, gente del popolo, gente di chiesa, re e aristocratici; con molte donne e con moltissimi personaggi caratterizzati dall’intelligenza pratica di capire il mondo. Il linguaggio riflette questo affresco d’epoca adattandosi ai vari personaggi, cogliendo così aspetti colti e volgari, popolari e aristocratici. La lingua italiana, costruita da Dante nelle sue rime “divine”, viene così arricchita del linguaggio quotidiano e popolare.

Nel proemio Boccaccio aveva promesso divertimento, ma in realtà fa molto di più: spiega il mondo in trasformazione, dal vecchio ordine clericale-medievale al nuovo ordine mercantile-umanista. Non a caso è Firenze l’alba di questo mondo dell’ingegno, degli affari senza scrupoli, delle beffe, dei mercanti e delle gerarchie messe in discussione.

Precisazione. Boccaccio non amava questo mondo in trasformazione, lui era legato sentimentalmente all’ambiente aristocratico e raffinato della corte napoletana dei D’Angiò, dove aveva passato la giovinezza. Intuì però che la realtà era un’altra. Su questa consapevolezza ha costruito il Decameron.

Per riassumere:

IL DECAMERON COME PERCORSO SALVIFICO Il percorso della brigata: dalla distruzione alla rinascita nella cornice si compie un percorso di rinnovamento umano, spirituale e civile. š La peste rappresenta la crisi, la distruzione e il disfacimento della società umana che di fronte š alla morte abbandona ogni morale. L’incontro casuale dei dieci giovani e la loro decisione di fuggire insieme da una città priva di š ogni ordine civile e morale rappresenta una via d'uscita e un modo per rinascere.

  1. Raccontare diventa un'occasione per meditare sulle cose del mondo e degli uomini. La scelta di narrare permette alla brigata di inquadrare la molteplicità della vita e di descrivere la complessità del mondo reale. š sulla Fortuna (II e III giomata) š sull'Amore (IV e V) š sull'Ingegno (VI, VII e VIII) š sulla Magnanimità (X).
  2. UN RINNOVATO PARADIGMA MORALE alla fine della dieci giornate Dioneo sottolinea che, nonostante l'occasione e la presenza di qualche novella scabrosa, tutti hanno vissuto nel rispetto reciproco. paradigma morale laico e mondano, fondato sulla magnanimità, sul senso della misura e sull'onestà, che è stato necessario richiamare dopo l'evento sconvolgente della peste. š La funzione della cornice non serve solo a dare un ordine e una struttura al libro di novelle, ma contiene anche una funzione pedagogica ed esemplare.

 

sabato 28 febbraio 2009

4. Storia della Repubblica di Firenze

Il ponte vecchio ricostruito nel 1345

Lezione 4 - dall'apogeo alla crisi (26.02.09)

Con il "colpo di stato" del 1301 i guelfi neri prendono il sopravvento, cacciando i principali esponenti della fazione bianca. Tra questi c'era anche Dante Alighieri, sfortunatamente Priore (la massima carica politica della città) proprio in quel periodo. Dante fu accusato di peculato - cioè di essersi appropriato di soldi pubblici - e condannato a pagare una forte multa. Essendosi rifiutato di ammettere la colpa, nel 1302 è condannato a morte in contumacia: praticamente obbligato all'esilio. Dante collaborerà inizialmente con i fuoriusciti bianchi e ghibellini, ma poi si rassegna alla situazione. Inserendo però il rancore per le vicende politiche nel suo capolavoro in costruzione: la Divina Commedia.
Scrive Franco Cardini: "Era quella (di inizio '300) la città maledetta da Dante: la città della "gente nova" e dei "sùbiti guadagni", governata dall'ira, dall'invidia e dall'avarizia. La Firenze del lusso sfrenato e delle impudiche donne imbellettate e scollate."

Firenze intanto continua la sua crescita economica e le sue discordie cittadine. Nel 1325 un tentativo di conquistare la ricca città di Lucca porta alla cocente sconfitta di Altopascio.
La crisi politica che seguì ripropose un'idea che si era già affacciata qualche anno prima: individuare "l'uomo forte" a cui affidare la città. Una tentazione che ritorna spesso nei momenti di crisi (non solo in tempi passati!). Il curriculum giusto era quello del figlio del re di Napoli, Carlo di Calabria: viene fatto Signore di Firenze per dieci anni. Ma l'anno successivo morì improvvisamente, ponendo fine all'esperimento.
Nel 1333 abbiamo la terribile alluvione che si porta via il Ponte vecchio con la "statua scema" del dio pagano Marte. 
Poi dal 1341 iniziano i fallimenti bancari. Perché?
Le compagnie fiorentine avevano prestato capitali a vari re e principi europei, tra cui Edoardo III re d'Inghilterra. Quando iniziò la guerra dei cento anni tra Inghilterra e Francia (1) la corona inglese si dichiarò insolvente, seguita da altri debitori. Semplicemente non restituirono i soldi che si erano fatti prestare. 
I primi a fallire furono i Bardi e i Peruzzi. A distanza di pochi anni li seguirono le compagnie degli Acciaioli, dei Bonaccorsi, dei Frescobaldi, dei Mozzi e altri. Le grandi famiglie si riciclarono trasferendosi nei castelli e nei possedimenti di campagna, mentre i cittadini fiorentini che avevano investito nelle compagnie furono completamente rovinati.
Ancora una volta per uscire dalla crisi fu giocata la carta dell'uomo forte. Stavolta la scelta cadde su Gualtiero di Brenne Duca d'Atene, un avventuriero francese celebre per alcune imprese in Oriente e noto a Firenze in quanto era il Vice del Duca di Calabria. Il Duca si diede ad atteggiamenti principeschi e cercò di contrastare il potere delle Arti con una politica "populista", cioè cercando il consenso nei ceti più bassi facendo leva soprattutto su celebrazioni fastose e promesse appariscenti (p.e. obbligo per le famiglie ricche di prestare i soldi al Comune). Le corporazioni si stancarono di questi atteggiamenti e pochi mesi dopo lo cacciarono. Siamo nell'estate del 1343.
La riforma elettorale del 1344 è così complicata da rendere impossibile per una sola persona dichiararsi Signore della città (quello che stava avvenendo a tutte le altre grandi città italiane). Resta comunque molto ristretto il corpo elettorale: 5/6000 uomini su un totale di 100.000 abitanti. Erano esclusi sia i lavoratori semplici, sia i ricchi magnati inseriti nella lista dei non eleggibili.

Nel 1348 arrivò la peste. La popolazione dimezzò, in parte perché morì un numero impressionante di persone, in parte perché emigrarono verso la campagna.
(1) La guerra dei cento anni scoppiò a causa di un contenzioso dinastico tra i regnanti di Francia e Inghilterra. Molti feudi in terra francese dovevano fedeltà al re inglese. Gli scontri - pur con molte pause - durarono complessivamente dal 1335 al 1453 e si conclusero con la vittoria del regno di Francia, che ottenne così il controllo su tutti i feudi coincidenti, più o meno, con l'odierno stato francese.


sabato 21 febbraio 2009

3. Storia della Repubblica di Firenze

Il giglio guelfo, definitivamente simbolo della città

Lezione 3 (20.02.09) - L'Arte e la Parte

La popolazione era in continua crescita – si crearono i borghi a ridosso delle porte cittadine – così diventò indispensabile costruire una nuova cinta muraria.Lo scontro tra Guelfi e Ghibellini non cessò nel 1250 e non era ristretto a Firenze, ma riguardava tutta l’Italia.[1]

Le battaglie importanti tra le due fazioni sono quelle di Montaperti nel 1260, in cui vinsero i Ghibellini senesi contro i Guelfi fiorentini, e la battaglia di Campaldino del 1289, i cui vincitori furono i Guelfi di Firenze contro i Ghibellini di Arezzo. Nella battaglia di Campaldino partecipò Dante. Fu così che il giglio guelfo diventò il giglio di Firenze: rosso in campo bianco.

Da quel momento Firenze diventò alleata del Papa; il governo cittadino passò definitivamente alle Arti e all’unico partito rimasto, la parte Guelfa; chi non era Guelfo veniva cacciato dalla città. Il potere a Firenze era esercitato in due sedi fondamentali: Il Palazzo dell’Arte della Lana e il Palazzo di Parte Guelfa. Ma dal punto di vista formale esisteva un procedimento molto complesso per decidere chi comandava. C’era un governo detto Signoria (composto da otto Priori e un gonfaloniere + 12 Buonomini + 16 gonfalonieri minori) che faceva anche le leggi (dette provvisioni). Poi due assemblee (Consiglio del Popolo e Comune) che dovevano approvare le leggi, più tutta una serie di magistrature anch’esse nominate o elette. Il ruolo più importante era il priore, che risiedeva al Palazzo della Signoria, e restava in carica per due/sei mesi. Anche le altre cariche politiche duravano pochi mesi. Questo significa che c’era un ricambio continuo dei dirigenti.

Come poteva esserci una continuità politica ?

La continuità era garantita prima di tutto dalla linea dettata dai poteri informali (Arte e Parte) e poi da una struttura di funzionari comunali che gestivano in concreto l’amministrazione della città senza alternarsi come i rappresentanti politici. In sostanza i Priori seguivano le istruzioni delle Arti e della parte Guelfa.

La questione era tutta concentrata nel sistema elettorale. Sulla base di una pre-selezione esercitata dalle Arti e dalla Parte Guelfa i nomi dei candidati erano “imborsati” ed estratti a sorte. Nel 1295 ci fu una importante novità: gli ordinamenti di giustizia.

Le corporazioni non riuscivano a controllare la vita politica fiorentina perché le famiglie Guelfe, secondo loro, inquinavano la vita politica in quanto erano troppo ricche e importanti e diventava difficile far valere i propri interessi. Gli ordinamenti di giustizia stabiliscono il principio dell’esclusione dei magnati, cioè dei cittadini ricchi e potenti, dagli elenchi elettorali.

A Firenze si istituì il principio che chi era ricco e potente non potesse ricoprire cariche pubbliche.

Chi era magnate? Non solo le antiche famiglie “cavalleresche” ma tutte quelle che venivano dichiarate in grado di mettere a repentaglio i diritti e la libertà del popolo a causa del loro potere.

Ma neanche queste novità mettono fine alla contesa tra fazioni cittadine. A fine ‘200 la Parte Guelfa si divise in due: Guelfi Bianchi e Guelfi Neri, rispettivamente guidati dalla famiglia dei Cerchi e quella dei Donati. I Bianchi erano fautori di una politica di compromesso con i ghibellini e di indipendenza dalla Curia papale, i Neri viceversa sostenevano un’alleanza con il Papa.

Dopo un breve predominio della parte Bianca, i Neri riuscirono, con un colpo di mano, a sottomettere i Bianchi e a confiscarne i beni. Siamo nel 1302 ed è il celebre episodio che coinvolse Dante Alighieri, sfortunatamente Priore proprio in quei giorni.

La nuova e più stretta alleanza con il Papa non significò sottomissione. Anzi. Firenze sfruttò la posizione politica per ottenere favori e privilegi: monopolizzò il sistema bancario dell’intero regno di Napoli e divenne il referente principale per la riscossione delle tasse pontificie in tutta la cristianità (tutti i cristiani dovevano pagare una “decima” alla Chiesa). In più, agganciò questi affari con la produzione manifatturiera di alta qualità creando un sistema molto efficace per moltiplicare i guadagni. Questo spiega la grande crescita dell’economia fiorentina del tempo.

La grande ricchezza accumulata nelle casse delle Arti venne utilizzata (in parte) per realizzare opere pubbliche, sia civili che religiose, tra la fine del ‘200 e l’inizio del ‘400.

Nuova cinta muraria 1282-1333

Nuovo campanile della Badia Fiorentina (1310)

Cattedrale di Santa Maria del Fiore (1296-1436)

Campanile in p.za S.Giovanni (1334)

Porte del Battistero

Cupola della cattedrale

Palazzo Signoria (1299-1313)

Piazza Signoria

Loggia di piazza Signoria (poi detta dei Lanzi)

Ricostruzione del ponte vecchio attuale (1345)

Chiesa di Orsanmichele

Ospedale degli innocenti (1419-1436)

Completamento chiese ordini mendicanti:

Santa Croce, Santa Maria Novella, Santo Spirito, S.M. del Carmine, San Marco.

Tutto questo non è stato fatto dai Medici, ma con i soldi delle Arti.

La cinta muraria si estese ulteriormente, in quanto Firenze aveva aumentato di molto la popolazione – ormai superiore a 100.000 abitanti - dall’ultima volta in cui questa aveva subito modifiche.

Nel 1333, un’alluvione buttò giù il Ponte Vecchio e la statua di Marte, che era lì dai tempi dei longobardi e veniva considerata quasi un amuleto per la città. Il fatto curioso è che Firenze, da quel momento, ebbe molta meno fortuna. Infatti tra il 1342 e il 1348 falliscono tutti i grandi banchieri della città, rovinando migliaia di fiorentini e, nel 1348, sopraggiunse la peste che dimezzò la popolazione.

Appunti di Mary Vittoria Dari



[1] Il successore di Federico II tornò in Germania. Il regno passò a Manfredi che promosse una aggressiva politica antipapale. Tra gli obiettivi ci sarà riprendere Firenze. Così armò Siena in funzione antifiorentina per sfidare l’esercito guelfo nel 1960 s Montaperti.