sabato 26 aprile 2008

Programma di storia classe 5H

Modulo 1 – L’età delle rivoluzioni
UD 1 la rivoluzione culturale: l’Illuminismo
UD2 La rivoluzione economica: l’industrializzazione
UD3 La rivoluzione istituzionale: la nascita degli Stati Uniti
UD4 La rivoluzione politica: la rivoluzione francese


Modulo 2 – Il “lungo Ottocento” secolo della borghesia

UD1 L’eredità di Napoleone e il Congresso di Vienna
UD2 Lo stato liberale
UD3 Nazioni e nazionalismi
UD4 Il risorgimento italiano
UD5 L’imperialismo

Modulo 3 – Tra le due guerre
UD1 La Grande Guerra
UD2 I Trattati di Versailles
UD3 La rivoluzione russa
UD4 Il fascismo italiano
UD5 Il nazismo in Germania
UD6 Preludio alla guerra
UD7 Dalla guerra totale alla pace

Modulo 4 – Il dopoguerra
UD1 Gli anni della ricostruzione 1944-50

lunedì 7 aprile 2008

Il romanzo italiano tra Ottocento e Novecento

Il Settecento era caratterizzato da una produzione ben distinta materiale colto per un pubblico d’élite, e materiale popolare per le classi sociali meno istruite. Se il termine romanzo stava ancora a significare un poema in versi, erano di largo consumo i racconti picareschi e d’avventura oppure storie sentimentali e patetiche. In Gran Bretagna e Francia con la presenza consistente di un ceto borghese il romanzo aveva il suo pubblico. In Italia invece mancava questa categoria sociale.
Dobbiamo arrivare all’inizio dell’Ottocento - nel nord Italia - per trovare una consistente presenza del ceto borghese; con esso nasce dunque anche il romanzo italiano.

1. L’io romantico (eroico e suicida)
Primo titolo degno di nota è lo “Jacopo Ortis” di Ugo Foscolo. Nuova è anche la cornice entro cui si muove la stria: siamo nel campo dell’introspezione, nell’indagine interiore dell’io.
Alla fine del Settecento una certa moda per le autobiografie era diffusa - su tutte svetta “Vita” di Vittorio Alfieri - in stile eroico-pessimistico. Foscolo però ci aggiunge una forte interrelazione con le vicende storiche. E sceglie - al pari di Ghoete nel Werther (1774) - la struttura epistolare a voce unica, monologante ®mette in risalto il colloquio con se stesso.

‘700 - un “io” razionale e sociale.
‘800 - un “io” individualista, in conflitto permanente con la realtà e con se stesso. Ma deciso a tradurre in azione i propri ideali e le proprie passioni, e perciò esposto, anzi, predestinato, nel crollo di ogni illusione, all’estrema scelta della morte volontaria. Siamo in pieno romanticismo.

Ma l’Ortis ha ancora troppi legami con il genere poetico per rappresentare un caso esemplare e fondante per la nostra letteratura. Così come ancora troppo poco narrativo appare l’altro lavoro autobiografico di Foscolo: “Il Sesto tomo dell’Io”. Qui il protagonista (Didimo) anziché essere un appassionato e tragico protagonista del suo tempo, appare come un distaccato, disilluso e ironico. Il testo, la storia o altro non convinse l’autore che non completò mai il lavoro.
Tra il 1802 e il 1827 (prima pubblicazione dei Promessi Sposi) cambiano molte cose. Nel Lombardo-Veneto della restaurazione asburgica cresce la cultura borghese e con essa l’aspettativa per un genere letterario che rompesse con lo stile artificioso dell’aristocrazia (poetica classicista) senza scadere nel banale e volgare. E’ intorno alla rivista milanese “Il Conciliatore” che alcuni scrittori come Pietro Borsieri, Silvio Pellico, Carlo Gualsco trattavano del genere del romanzo sostenendo i racconti con tematiche incentrate sulla vita contemporanea e il romanzo storico.
La censura austriaca chiude “il Conciliatore” nel 1819 complicando così la vita a chi scriveva in modo diretto del tempo presente. Anche per questo lo sguardo degli scrittori si appuntò negli anni successi al romanzo storico. “Con il vero storico la narrativa acquistava un blasone di nobiltà e si teneva al riparo dalla censura.

NB come vendite dominavano i romanzetti rosa. (era comodo diffondere letteratura innocua)

2. Il romanzo storico
Il romanzo storico è definito da Manzoni: “componimenti misti di storia e d’invenzione” e si afferma attraverso la voce di un narratore onnisciente che guardando al passato riesce a definire anche il presente. Caratteristica comune è quella di avere finalità educative e divulgative, oltre che aggirare la censura e dare dignità al romanzo come forma letteraria.
All’estero è W. Scott a promuovere il genere. (es. Ivanhoe, ambientato nel XII secolo).
La data memorabile che inaugura il successo del nuovo genere è il 1827: in quell’anno muore Foscolo e con lui la sua aristocratica visione della storia, e quando a Milano dall’editore Stella, esce un libro dissonante e controcorrente come le Operette Morali. (qui Leopardi chiarisce la sua sostanziale estraneità alla cultura dominante intrisa di attivismo pedagogico, dal ruolo del narratore onnisciente tipico del romanzo storico ecc.).
Nel 1827 viene pubblicata la prima edizione dei Promessi Sposi e altri 5-6 romanzi di discreta qualità. Il cuore di questa moda romanzesca è il lombardo-veneto. Anche se il capolavoro di Manzoni non ha molto da spartire con le altre opere.

I Promessi Sposi

Il meccanismo di funzionamento dei P.S. è semplice e complicato al tempo stesso. Diciamo che viene ribaltato il rapporto tra storia e invenzione così come si presentava a teatro. Le tragedie avevano fatti e persone vere ma coscienza, comparse e contesti inventati; qui invece i protagonisti sono inventati mentre al “vero storico” si affidano figure collaterali, l’ambiente, il costume.
L’autore è libero verso i personaggi; la contestualizzazione storica serve per rendere credibile e verosimile l’invenzione. Anzi potendo inventare personaggi e situazioni non è legato agli stereotipi falsificanti dell’immagine storica e - paradossalmente - più libero di rappresentazione un mondo realistico. Così facendo ci può inserire anche il suo “disegno morale”; la sua chiave di lettura al caos dei fatti storici. L’indagine sul male del mondo e degli uomini propone in Manzoni anche una possibilità di riscatto e alternativa - non tanto e non solo nell’aldilà - quanto nella condizione umanissima della società ottocentesca.
Da qui una sorta di “bi-frontismo” dei P.S. In apparenza sono una bella favola a lieto fine, in realtà è anche una controfavola piena di veleni.
LA FAVOLA
La storia è ripresa da uno scartafaccio rinvenuto da un misterioso “secentista” : è l’impronta favolistica a cui l’autore appone alcune riserve. Mette in chiaro la doppiezza del romanzo.
L’anonimo narratore è un fatalista che vede un mondo perfetto, soltanto intaccato da situazioni disdicevoli che si ricomporranno nella volontà della Provvidenza.
La Provvidenza, perno della storia, è spesso invocata ma spesso invano; spesso i vari personaggi ne fanno un uso smaccatamente opportunistico. La mentalità contadina di Renzo comprende un rapporto mercantile-contrattuale con l’aldilà.
NB ogni personaggio intende la provvidenza in maniera utile alla propria situazione, sempre pronta come un deus ex machina a salvare la situazione.
LA CONTROFAVOLA
La controfavola realistica, originaria del narratore, mette in luce la multiforme presenza del male e del peccato, come sopraffazione fisica e morale esercitata contro i propri simili.
Es. il padre che per affetto sincero obbliga la figlia Gertrude a farsi monaca (è accecato dal potere nobiliare, dalla mentalità…). Manzoni cioè nel contesto storico inserisce una specie di indagine sul “buio groviglio di impulsi e desideri non affiorati alla luce della coscienza”.
Questo aspetto nascosto dei P.S. fu ignorato dai contemporanei - che amavano leggerlo come storia di intrattenimento a lieto fine, remissiva e consolatoria - ma colpì invece E.A.Poe che recensì la traduzione inglese nel 1835.

La lettura dei P.S. come una celebrazione della provvidenza è un po’ riduttivo. A differenza del romanzo storico in voga all’epoca che divida la storia e l’invenzione affidando ad ognuno una parte “fissa” e trasformando poi il racconto in una specie di fumetto della storia piegata all’uso patriottico, dove la storia diventa una didascalia pittoresca mentre l’invenzione una passeggiata nella fantasia. Il capolavoro di Manzoni invece si serve dell’invenzione per progettare un mondo migliore, sempre vigilata però dall’amara lezione della storia. L’intreccio tra i due aspetti e fanno un capolavoro che trascende completamente lo stile e la tematica dell’epoca.

La crisi degli anni ‘40

Va in crisi il romanzo storico.

Questo collasso del genere (delusione per l’evoluzione politica, siamo in piena restaurazione) apre le porte a soluzioni diverse, ma in genere ambientate nel tempo presente.

1840 “Fede e Bellezza” di Niccolò Tommaseo - primo romanzo di analisi contemporanea
Tommaseo accoglie la nozione del vero volgendo l’attenzione alla propria esperienza vissuta. C’è una novità d’impianto - abbiamo l’io narratore - e riprende l’analisi interiore. Rispetto all’Ortis che esaltava l’io, Tommaseo propone una autoanalisi quasi dissacrante. C’è poi uno spazio per la fisicità dei personaggi: affitto, prestito, mancanza di lavoro, miseria. Non sono note di colore ma incidono sulla psicologia dei personaggi e ne turbano le relazioni affettive.
Realtà del presente filtrata dalla prospettiva dell’io.
Personaggi: Giovanni e Maria.

1842 “Storia di una colonna infame” di Alessandro Manzoni
E’ un documentario. Manzoni in un saggio dell’epoca spiega che non è più tempo di romanzo, ma di “vero”.
La vicenda narra dell'intentato processo a Milano durante la terribile peste del 1630 contro due presunti untori, ritenuti responsabili del contagio pestilenziale tramite misteriose sostanze, in seguito ad un'accusa -infondata- da parte di una "donnicciola" del popolo, Caterina Rosa.
Il processo, svoltosi storicamente nell'estate del 1630, decretò sia la condanna capitale di due innocenti, Guglielmo Piazza e Giancarlo Mora, sia la distruzione della casa di quest'ultimo. Come monito, venne eretta sulle macerie dell'abitazione del Mora la "colonna infame", che da il nome alla vicenda.
Con questa tragica vicenda, Manzoni vuole affrontare il rapporto tra le responsabilità del singolo e le credenze e convinzioni personali o collettive del tempo. Tramite un'analisi storica e giuridica, l'autore cerca di sottolineare l'errore commesso dai giudici e l'abuso del loro potere, che calpestò ogni forma di buonsenso e di pietà umana spinti da una convinzione del tutto infondata e da una paura legata alla tremenda condizione del tempo provocata dall'epidemia di peste.
Inizialmente era parte del “Fermo e Lucia” (1823rimasto inedito), poi estromesso dalla trama del romanzo e rielaborato a lungo fino alla sua pubblicazione nel 1842.

Dopo il 1850 il romanzo in Italia si allontana dal modello manzoniano del narratore onnisciente. La “Storia” entra nella storia dal punto di vista di un narratore che è come il lettore: un borghese con incertezze e debolezze. L’esempio più importante del genere è “Confessioni di un italiano” di Ippolito Nievo. La storia di Carlino (Carlo Altoviti) racconta da lui stesso, dall’infanzia (a fine ‘700) fino alla vecchiaia (1858) “io nasco veneziano e morrò italiano“. L’ “io” di Nievo - che unisce vita privata a uno sguardo approfondito ai fatti dell’epoca - è mobile e imprevedibile, incerto, comprensivo e curioso. E’ una storia che, abbandonando i toni provvidenzialistici di Manzoni, incarna l’ottimismo e la fiducia nei valori risorgimentali. Non manca infine, una certa volontà pedagogica.
Saggezza e disincanto sono i caratteri più importanti del personaggio Carlino.
L’Italia post-unitaria

Il raggiungimento del grande ideale si trasforma in breve tempo in una delusione cocente. Insieme all’esaurirsi della tensione morale si diffonde (anche nel resto dell’Europa) una sensazione di inquietudine tra poeti, scrittori e intellettuali a disagio in un mondo sempre più votato al tecnica e al pragmatismo.
Le nuove forme espressionistiche risentono dell’influenza dell’industrializzazione: concorrenza, progresso. Chi non accetta questi valori resta ai margini.
Ci sono due principali tendenze:
a. ripiegamento verso l’interiorità. Il decadentismo esalta sentimenti negativi di distacco e disagio con il mondo.
b. letteratura come resoconto oggettivo della realtà (tremenda).

E’ abbandonato il romanzo storico - educativo. Lo scrittore non vuole o non ha più nulla da insegnare a nessuno: quello che scrive rispecchia il suo disagio individuale
(Baudelaire, Verlaine, Pascoli, ecc.) oppure rispecchia la realtà.

I Malavoglia di Giovanni Verga 1881
Come i Promessi Sposi si presenta come un’opera “nazionale“: non si limita a raccontare storie locali, magari in dialetto, ma abbraccia tematiche comuni, riflette un sentire che coinvolge un’intera generazione.
Differenze:
PS ® romanzo della ragione e della fede, come argine al caos e alla tragedia della storia.
MALAVOGLIA ® romanzo della disgregazione.
Trama
Presso il piccolo paesino di Aci Trezza nel catanese vive la famiglia Toscano che, nonostante fosse decisamente laboriosa, viene soprannominata Malavoglia.Il patriarca è Padron 'Ntoni, vedovo, che vive presso la casa del nespolo insieme al figlio Bastiano detto Bastianazzo sposato con Maria detta Maruzza la longa nonostante sia di statura tutt'altro che elevata. Bastiano ha cinque figli: 'Ntoni, Luca, Filomena detta Mena, Alessi e Lia. Il principale mezzo di sostentamento è la Provvidenza (piccola imbarcazione dedita alla pesca). Nel 1863 'Ntoni, il maggiore dei nipoti, parte per la leva militare. Per far fronte alla mancanza, padron ‘Ntoni tenta un affare comprando una grossa partita di lupini - peraltro avariati - da un suo compaesano, chiamato Zio Crocifisso per via delle sue continue lamentele e del suo perenne pessimismo. Il carico, affidato al figlio Bastianazzo perché li vada a vendere a Riposto, sfortunatamente naufraga, assieme a Bastianazzo. A seguito di questa sfortunata avventura, la famiglia si ritroverà con una triplice disgrazia: il debito dei lupini, la Provvidenza da riparare e la perdita di Bastianazzo e quindi di un membro importante della famiglia. Tornato del servizio militare, 'Ntoni tornerà molto malvolentieri alla vita laboriosa della sua famiglia, e non rappresenterà alcun sostegno alla già precaria situazione economica del nucleo familiare.
Purtroppo, le disgrazie per la famiglia non terminano. Luca, uno dei nipoti, muore nella battaglia di Lissa (1866) e questo determina l'annullamento delle nozze della figlia Mena con Brasi Cipolla. Il debito causerà alla famiglia la perdita dell'amata Casa del nespolo e via via la reputazione della famiglia andrà peggiorando fino a raggiungere livelli umilianti. Un nuovo naufragio della "Provvidenza" porta Padron 'Ntoni ad un passo dalla morte, dalla quale, fortunatamente, riesce a scampare. In seguito Maruzza, la nuora, muore di colera. Il primogenito 'Ntoni deciderà di andare via dal paese per far ricchezze, ma, una volta tornato ancora più impoverito, si dà al contrabbando e finisce in galera dopo aver accoltellato il Brigadiere don Michele, a causa della scoperta di una relazione amorosa con la sorella Lia. Padron 'Ntoni, ormai vecchio, muore senza riuscire a rivedere la sua vecchia casa. Lia, la sorella minore, vittima delle malelingue, lascia il paese e si abbandona all'umiliante mestiere della prostituta. Mena sceglie di rinunciare a sposarsi con compare Alfio, di cui è innamorata, e rimarrà in casa ad accudire i figli di Nunziata e di Alessi, il minore dei fratelli, che continuando a fare il pescatore ricostruirà la famiglia e potrà ricomprare la "casa del nespolo". Quando 'Ntoni, uscito di prigione, torna al paese, si rende conto di non poter restare a causa del suo passato di detenuto.

Giovanni Verga e il Verismo
L’idea che l’autore debba “eclissarsi” dalle pagine del racconto risale a Flaubert. Teoricamente sono in molti a farlo, ma in pratica è solo Verga che ci si avvicina.
Insieme al narratore spariscono le pretese etiche, civili ed educative che conformavano le storie al proprio giudizio. Rispetto al naturalismo francese Verga non si pone obbiettivi politici (Zola faceva una denuncia sociale che “pretendeva” giustizia); lui rappresenta le cose così come sono. Ma fa anche una ricerca sullo stile, sul tipo di prosa. La narrazione oggettiva era filtrata dai dialoghi dei personaggi; le sensazioni e le emozioni anche; insomma il documentario è narrato dall’esterno queste sono storie viste da dentro, pur in forma impersonale.
Ma in Verga c’è anche una morale:
il mondo è disgregato, ha perso il fervore e la speranza del risorgimento ed è rimasta solo “una folla nera che si affanna, si pigia, si accalca, si sorpassa brutalmente e cammina tutta verso un solo punto.” Praticamente contesta il mito del progresso così diffuso all’epoca.
Lo stile
L’impiego dilagante del discorso libero altera la logica delle sequenze; porta in scena personaggi sconosciuti (senza presentazioni) e sgretola la struttura classica del romanzo. Manca il centro organizzatore e anche il riferimento ultraterreno: “provvidenza” è diventata il nome di una barca destinata al naufragio. Per Verga c’è solo il caos e il caso. Il linguaggio è spontaneo, lontano da ogni risciacquatura in Arno. NB Il tempo usato nel racconto è l’imperfetto.

Il verismo in Italia rimane un genere per pochi; lo stesso avviene per la Scapigliatura, un movimento culturale in ambiente milanese che manifesta insofferenza verso la letteratura contemporanea (cioé Manzoni e il romanticismo risorgimentale) e più in generale per l’evoluzione tecnicista della società. Indicativo è il romanzo Fosca di Tarchetti : Giorgio, un giovane ufficiale felicemente sposato con la bella Clara, subisce il fascino morboso di Fosca, una ragazza brutta e isterica dalla sensibilità acutissima. Dopo una notta d’amore con Fosca la ragazza muore ma lui resta come contaminato. E’ l’attrazione fatale per il mondo noir, gotico; per il fascino misterioso dell’autodistruzione. NB Fosca e Clara, anche nel nome, assumono un valore simbolico opposto.

Detto che le grandi tiratura riguardavano romanzi di scarso valore letterario, il secolo si chiudeva con una virata abbastanza netta verso racconti “spiritualisti” e – soprattutto – vicini all’estetismo.
Abbandonata al fiducia nella ragione, i tempi suggeriscono una fuga in avanti nell’illusione di potenza, di bellezza; nell’esaltazione del sé, nel mito della forza. Erano gli anni della propaganda colonialista e dell’autoritarismo di Crispi.
La cultura ufficiale appoggiò romanzieri come De Amicis e poeti come Giosué Carducci.

Celebri romanzi dell’epoca sono PINOCCHIO di Carlo Goldoni e CUORE di Edmondo De Amicis (esaltazione dei valori borghesi di perbenismo, dovere, patria, etica militare, ubbidienza, accettazione dell’ordine costituito).
Torna il narratore onnisciente. Recupera il ruolo di vate: di fronte alla confusione dei tempi c’è bisogno di una voce confortante, un maestro di gusto e sensibilità…come guida per il riscatto dello spirito (non riscatto civile quindi!). Emerge un tratta importante: l’insofferenza verso la mediocrità, in genere espressa dalla massa.
Confronti:
MANZONI: regista di una struttura polifonica; resta fuori dalla mischia, descrivendo le ragioni di tutti.
NUOVO NARRATORE: regista di una struttura fonologica che implica complicità tra scrittore/protagonista/lettore.
I protagonisti sono nuovamente esponenti dell’alta società intellettuale. I personaggi delle classi sociali più basse sono descritti senza qualità o in maniera ridicola.

I Trattati di Versailles

La regia che ha organizzato e gestito la conferenza di Pace che doveva ridisegnare la mappa politica dell'Europa al termine del più sanguinoso conflitto dell'umanità, aveva tenuto conto di tutte le questioni del secolo trascorso, realizzando un programma di tempi e luoghi ad altissimo valore simbolico. Il posto – Versailles - luogo della firma della pace imposta da Bismark nel 1871 e atto fondante della grande Germania, e la data di chiusura – il 28 giugno 1919- quinto anniversario dell'uccisione dell'Arciduca Francesco Ferdinando a Sarajevo, sembravano porre fine ad una stagione di instabilità scivolata inesorabilmente in un massacro senza precedenti.Possiamo individuare tre parti per comprendere meglio la portata storica dei Trattati di versailles:1. Cosa c'era sul tavolo dei vincitori?2. quali soluzioni furono prese e imposte alle potenze sconfitte?3. quali le conseguenze di queste scelte?1. Cosa c'è sul tavolo dei “quattro grandi” ?Possiamo individuare tre situazioni-chiave per comprendere la logica delle decisioni prese a Parigi.
Crollo degli imperi centraliLa dissoluzione dell'impero Austro-ungarico, la dissoluzione dell'impero Ottomano e la sconfitta della Germania protagonista di un espansionismo crescente per tutto il secolo XIX e nel primo squarcio di XX, rappresentano il primo punto di grande rilevanza ereditato dal 1918.La Russia dei SovietAl tavolo delle trattative aleggiava il fantasma del comunismo; l'instaurazione del regime dei Soviet aveva trasformato l'utopia della rivoluzione in una prospettiva realistica. La forte instabilità politico-sociale dell'immediato dopoguerra portò a situazioni pre-rivoluzionarie in Germania, in Italia e in Ungheria.Era chiaro che la prospettiva rivoluzionaria agiva su un terreno diverso della mera presa del potere. La sua forza era data dal muoversi sul campo dell'ideale; non gestione dell'esistente ma trasformazione: ridefinizione della società, delle gerarchie, del rapporto tra stato e cittadini e tra classi sociali. Dal 1917 una realtà e un modello, non più una promessa e una teoria.L'idealismo wilsonianoL'idealismo del presidente Usa W. Wilson era la risposta dei paesi democratici-capitalisti all'idealismo socialista. Serviva una controproposta sul terreno imposto dal movimento socialista internazionale (potremmo chiamarla “autodeterminazione sociale”) e l'autodeterminazione nazionale rispondeva a questa esigenza. Anche se nei punti di Wilson non c'era solo questo, il collegamento tra identità comune e volontà di essere nazione indipendente, diventò rapidamente l'aspetto fondamentale della propaganda dei paesi vincitori.

LA CONFERENZAI lavori iniziarono il 18 gennaio 1919 a Parigi. Le trattative di pace, che dovevano servire a stabilire tempi e modi di risarcimenti dei danni di guerra nonché ristabilire i confini delle nazioni nei territori sottratti agli imperi sconfitti, si articolarono con una serie di conferenze separate. Solamente la pace con la Germania fu discussa nella reggia di Versailles; gli altri trattati furono elaborati a St. Germain (Austria); Trianon (Ungheria); Neuilly (Bulgaria) e Sèvres (Turchia). [1] I lavori furono seguiti da 32 delegazioni nazionali, ma il potere decisionale spettò formalmente ai quattro paesi vincitori:Francia: George Clemanceau (capo del governo)Inghilterra: David Lloyd George (primo ministro)USA: T. Woodrow Wilson (presidente)Italia: Vittorio E. Orlando (capo del governo)In realtà l'Italia ebbe subito un ruolo secondario in ogni fase delle trattative: non era una grande potenza e Orlando fu messo ben presto alla porta con la motivazione che le rivendicazioni italiane riguardavano solo i confini con l'Austria. Questa vicenda scatenò grandi polemiche e si rivelò una specie di umiliazione nazionale, al punto da far rientrare curiosamente l'Italia tra le nazioni assetate di rivincite nei decenni a seguire.I paesi sconfitti non ebbero diritto di rappresentanza alle trattative e dovettero limitarsi a sottoscrivere gli accordi imposti dai vincitori.
Le trattative furono incentrate su quattro fondamentali questioni da risolvere
1. creare un “cordone sanitario” intorno alla Russia ;Per isolare la repubblica bolscevica si pensò di creare un cordone sanitario di stati anticomunisti. Da nord verso sud questi stati erano nell'ordine:la Finlandia, regione autonoma dell'impero zarista alla quale Lenin concesse la secessione (valse il principio dell'autodeterminazione);i paesi baltici Estonia , Lituania e Lettonia senza alcun precedente storico, ma di etnia nettamente distinta da quella russa;la Polonia a cui fu restituita l'indipendenza dopo 120 anni;la Romania diventata quasi il doppio del territorio del 1914 per le annessioni di vaste regioni dell'impero austro ungarico e della Bessarabia.Non riuscì invece il tentativo di inserire nella fascia di protezione i paesi del Caucaso, l'Arzeibajan e la Turchia. I primi furono inglobati nell'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, mentre la Turchia a seguito della rivoluzione (non comunista) perseguì una politica antimperialistica e firmò uno specifico trattato bilaterale con la Russia nel 1921.
2) Tenere sotto controllo la GermaniaNei trattati con la Germania prevalse l'interesse nazionale della Francia per indebolire permanentemente il pericoloso vicino. La cosiddetta “pace punitiva” si articolava in due tipi di clausole:• Clausole non territoriali• Riduzione dell'esercito sotto i 100.000 uomini e della flotta a funzioni di difesa costiera• Fascia smilitarizzata sul confine Sud-occidentale• Perdita di tutte le colonie (e divieto di nuovi acquisti)• Cessione in gran parte di: flotta commerciale, bestiame, carbone (per 10 anni)• Danni di guerra per 269 miliardi di marchi-oro (poi ridotti a 132)• Clausole territoriali• Schleswig del Nord alla Danimarca• Posnania, Alta Slesia e «corridoio di Danzica» alla Polonia (Prussia orientale separata)• Occupazione militare per 15 anni della regione del Reno (riva sin. e 50 km riva destra)• Bacino carbonifero della Saar alla Francia per 15 anni• Alsazia-Lorena alla Francia
3) Costituire la Società delle Nazioni

La SDN ebbe la sua sede a Ginevra, inaugurò le proprie sedute nel 1920 e rimase attiva fino al 1946. Nell'arco dell'attività ne fecero parte 63 stati, ma solo 31 per l'intero periodo di attività.

4) Ridisegnare e ridefinire la cartina geopolitica dell'EuropaSistemata la Germania e la Russia, restava da ridisegnare il territorio lasciato libero dalla dissoluzione degli imperi dell'Austria-Ungheria e Ottomano. La teoria diceva di far decidere alle popolazioni secondo le affinità etniche e linguistiche. Ecco come andarono le cose:

IMPERO AUSTRIA-UNGHERIATrattato di Saint-Germain settembre 1919Trattato di Trianon giugno-settembre 1919Spartizione territori dell'ex Austria UngheriaIl cuore dell'impero viene ridotto a due piccoli stati: l'Austria e l'Ungheria. Tra le clausole imposte all'Austria figurava il divieto di unione alla Germania e – esattamente come l'Ungheria – la riparazione delle spese di guerra e la riduzione degli armamenti. I trattati comportarono la perdita per l'Austria dei 7/8 del territorio e per l'Ungheria dei 3/5 della popolazione.Beneficiarono della spartizione:l' Italia che guadagnò il Trentino, il Sud-Tirolo, Trieste e Istria;la Polonia , che fu resuscitata dopo 120 anni (composta anche da parti dell'ex impero russo ed ex impero germanico);la Cecoslovacchia, uno stato creato ex novo componendo le regioni tedesche della Boemia con la Rutenia e la slovacchia;Jugoslavia , stato creato ex novo unendo alla Serbia (popolazione slava-ortodossa) la Slovenia (regione ex austriaca), la Croazia (ex Ungheria), la Bosnia Erzegovina (popolazione mista tra mussulmani, slavi ortodossi e cattolici croati) e il piccolo regno del Montenegro fino a quel momento indipendente.

IMPERO OTTOMANOLo smembramento del gigante turco apriva scenari nuovi nella zona del Medio Oriente, un'area in procinto di diventare strategica per l'approvvigionamento delle fonti energetiche. Il principale pretendente al controllo dell'area era il governo britannico, che lo ottenne giocando contemporaneamente su tre tavoli:a) In guerra con la Turchia, l'Inghilterra avvia nel 1915 trattative segrete con lo sceriffo della Mecca Hussein a cui promette la costituzione di uno stato arabo indipendente in Medio Oriente in cambio dell'appoggio alla lotta contro gli Ottomani (Lawrence d'Arabia);b) In cerca di consensi nell'opinione pubblica ebraica e di finanziamenti dalle banche Rothschild, l'Inghilterra nel 1917 concede ai sionisti la Dichiarazione Balfour.

c) Stipula, nel maggio 1916, segretamente con la Francia l'accordo Sykes-Picot, secondo il quale la maggior parte delle terre arabe sotto il dominio turco sarebbero state divise tra una sfera di influenza britannica e una francese.Con i trattati viene attuata la terza soluzione; ovvero la spartizione di tipo colonialista tra Francia e Gran Bretagna. E' l'esempio più esplicito del prevalere dell'interesse nazionale (economico e politico) su qualunque pretesa idealistica. La Gran Bretagna assecondò il pugno di ferro voluto dalla Francia contro la Germania, in cambio dei protettorati su vaste zone ricche di petrolio, tra cui l'Arabia e l'Iraq. Anche la regione palestinese rientrava nel mandato britannico.Inoltre fu stabilita la nascita dello stato di Turchia limitatamente alla penisola Anatolica, l'internazionalizzazione degli stretti del Bosforo e dei Dardanelli, la cessione alla Grecia del territorio di Smirne, Tracia e Adrianopoli e all'Italia di Rodi e il Dodecaneso.

Quali conseguenze ?

“I conflitti nazionali che lacerano alcune aree europee ai nostri giorni altro non sono che i nodi di Versailles che ancora una volta vengono al pettine.” La considerazione di Hobsbawm risale al 1994 ed è in gran parte riferita alla guerra in ex-Jugoslavia.

CORDONE SANITARIO. Non riesce il tentativo di bloccare il processo rivoluzionario con l'isolamento forzato. La Russia bolscevica recupererà gran parte del territorio appartenuto all'impero zarista e, nella nuova forma di Unione Sovietica, ricomparirà nella scena delle relazioni internazionali nel 1943-45 come autentica super-potenza mondiale.• GERMANIA. L'imposizione di condizioni durissime sono alla base del disastro economico della Repubblica di Weimar e del diffuso revanscismo della popolazione tedesca nei confronti della Comunità internazionale e della Francia in particolare. Sono condizioni importanti per l'ascesa inarrestabile di Hitler nella fase più acuta della crisi economica e istituzionale del 1932.• SDN. La Società delle Nazioni fu il più clamoroso fallimento diplomatico mondiale. I limiti della nuova struttura furono subito evidenti. La Germania fu esclusa in quanto colpevole di guerra. La Russia fu esclusa in quanto paese rivoluzionario. Il Congresso degli Stati Uniti non ratificò l'adesione, tornando alla vecchia politica dell'isolazionismo e sconfessando apertamente la politica estera del Presidente. Ad eccezione che per alcuni contenziosi locali e la raccolta di dati statistici la SDN non riuscì ad intervenire, né ad avere voce in capitolo, in nessuno dei gravissimi avvenimenti che minacciarono la pace internazionale prima dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale: aggressione del Giappone alla Manciuria nel 1931, aggressione dell'Italia all'Etiopia nel 1935, occupazione della Renania da parte della Wermacht nel 1936, guerra in Spagna 1936-39, occupazione nazista nel 1938 dell'Austria e dei Sudeti.
AUTODETERMINAZIONE NAZIONALE

Come visto nella lezione precedente gli interessi nazionali prevalsero sempre sulla questione morale. Francia e Gran Bretagna non esitarono ad assemblare popoli e territori senza alcuna considerazione per la volontà dei diretti interessati.

La pretesa omogeneità interna porta i nuovi stati nazionali a sviluppare politiche di esclusione verso le minoranze o, nei casi più estremi, l’espulsione e lo sterminio. Il primo caso si registra tra il 1915 e il 1923 ad opera della Turchia. Il primo popolo ad aver subito il genocidio fu quello armeno nel corso della guerra. Il principio dell’omogeneità etnica fu applicato nuovamente al termine della guerra contro la Grecia (1922) quando oltre un milione di greci, insediati sin dai tempi antichi nelle coste dell’Anatolia, furono costretti all’esodo.

Anche l'Italia applica la nuova logica della omogeneità etnica, varando una legislazione di persecuzione verso la cultura solovena e croata nella regione della Venezia-Giulia e in particolare a Trieste.Ma sono i decenni seguenti a mostrare la tragica relazione tra nazionalità etnico-linguistica e stato.Il delirante progetto del Terzo Reich con l’annessione di tutti i territori con cittadini appartenenti alla Volksgemeinschaft e l’espulsione della razza impura dal suolo germanico, è un caso limite dello stesso principio che doveva pacificare il continente.

In pratica gli Stati-nazione hanno sostituito gli imperi multietnici, e le minoranze oppresse hanno preso il posto dei popoli oppressi; con la differenza che l’intolleranza verso minoranze, dopo il 1919, era molto più accentuata.

La Rivoluzione russa

In assoluta contraddizione con le ipotesi di Marx la presa del potere riuscì nei paesi meno industrializzati: la Russia e, nel dopoguerra, la Cina. Le condizioni della Russia zarista nel 1917 parlano chiaro: 150 milioni su 188 sono contadini, la classe operaia conta circa due milioni di lavoratori concentrati tutti a Mosca e Pietrogrado nelle grandi fabbriche statali.
Per capire le ragioni di un movimento tanto forte dobbiamo andare nella Pietrogrado (poi Leningrado e oggi San Pietroburgo) d'inizio secolo.
I lavoratori dell'industria nella capitale (Pietrogrado non Mosca) venivano nella quasi totalità dalla campagna: vivevano in case sovraffollate, privati delle più elementari norme di igiene e di intimità, immersi in un mondo alienante con pochi bambini, pochi vecchi...Il quartiere operaio era costituito per lo più da maschi con età tra i 20 e i 40 anni in genere ex-contadini (con le famiglie lontane) e scapoli. Disponibili a fare la rivoluzione. Anche la struttura urbanistica della città spingeva verso un recrudescenza dei rapporti: da una parte del fiume c'era il quartiere di lusso, esattamente di fronte il suddetto quartiere operaio.
Vladimir Ilic Lenin
La rivoluzione d'ottobre deve la sua riuscita alla volontà di Vladimir Ilic Lenin, capo della corrente bolscevica del partito socialdemocratico, di tentare la presa del potere anche in mancanza di quelle che i marxisti ortodossi pensavano dovessero essere le condizioni indispensabili per fare la rivoluzione (maggioranza della classe operaia, implosione quasi naturale del sistema capitalista).
L'ascesa politica di Lenin avviene con la proclamazione del governo borghese e con la sconcertate scelta di proseguire la guerra. Nelle tesi di aprile – siamo già nel 1917 – Lenin dichiara di voler fare subito la rivoluzione: “le idee sono grigie, l'azione è il verde albero della vita”
In pratica il successo si spiega con una concomitanza di fattori
a) Vuoto politico della classe borghese
b) Attrattiva dello slogan di Lenin: "Pane e pace per tutti"
c) La riuscita del sistema dei Soviet
d) La forza del partito sul parlamento

"Tutto il potere ai Soviet"
I soviet sono letteralmente i Consigli di Fabbrica. Nel corso del tentativo rivoluzionario del 1905, il partito socialdemocratico russo – a dispetto del nome il più estremista dell'arco politico – ne fece una bandiera del potere dei lavoratori da contrapporre al potere costituito.
Nel febbraio 1917 è lo stesso Lenin a riproporre i Soviet come potere parallelo al potere borghese, e lo fa con la consueta forza immaginativa: lo slogan “tutto il potere ai soviet” passa in breve tempo dalle parole alla realtà.
L'adesione dei lavoratori ai soviet incrementò sempre più nei mesi di agosto, settembre e ottobre; la coesione politica del governo apparve sempre più sfilacciata e Lenin spinse fortemente per un colpo di mano.
In poche ore e con un solo morto, il Palazzo d'Inverno fu preso la mattina del 7 novembre 1917: il potere comunista iniziava la sua più lunga esperienza di governo.

Quale rivoluzione?
Martov, leader dei menscevichi pensava che non fosse il momento di fare la rivoluzione, per tutta una serie di motivi, non ultimo l'isolamento e l'ostilità internazionale. Lenin e i bolscevichi invece erano convintissimi che la rottura “dell'anello debole” dell'imperialismo (la Russia) avrebbe portato altri paesi sconfitti – in primis la Germania – a seguire l'esempio rivoluzionario.
Non andò così e quasi tutti gli auspici della rivoluzione andarono perduti dopo solo 4 anni:
a) I soviet vengono esautorati
Tra i due poteri concorrenziali – partito e soviet – dopo la presa del potere ha predominanza il primo. Anzi in misura ancora più ristretta il solo Comitato Centrale del Partito Comunista. Nel corso della guerra civile, scatenatasi in terra di Russia tra il 1918 e il 1920, l'emergenza implica un accentramento di poteri che non sarà più revocato. Di grande esemplarità è l'episodio di Kronstad.
La base militare di Kronstad rappresentava una delle roccaforti della rivoluzione, con un soviet di marinai fortissimo. Finita la guerra civile loro chiedono con grande insistenza il ritorno alla “democrazia del proletariato” con il ripristino dei soviet. Nella primavera del 1921 invece la loro protesta diventa sommossa, e la sommossa una repressione sanguinosa.
b) Dittatura del Comitato Centrale all'interno del PCUS
Anche in questo caso il 1921 è la data cruciale. Il gruppo dirigente, con Lenin e Trockji in prima linea, impone il divieto di discussione all'interno del partito. E' importante notare l'atteggiamento sacrale che i due capi della rivoluzione russa hanno nei confronti del partito: essi pensano a una partito “anima” della rivoluzione, depositario di tutta la giustizia e accentratore di tutte le virtù. Inoltre Lenin non aveva alcuna predisposizione verso il pluralismo, mette fuorilegge gli altri partiti, anche i socialisti, e non risparmia accuse di tradimento a chi non la pensa come lui.
I soviet vengono esautorati quando i bolscevichi perdono la maggioranza; era solo un utilizzo strumentale della democrazia diretta, lui crede veramente solo nel partito.

Opinioni
La dimensione del fallimento della rivoluzione comunista, nei valori non nel potere che invece si è consolidato, è stata interpretata in maniera diversa dalla storiografia:
1 - "Leninisti"
Sono autori di grande fama, come l'inglese E.H. Carr e il tedesco Isaac Deutscher. La loro posizione si può riassumere nell'affermazione che:
"le idee sono giuste, le intenzioni pure, ma mancavano le condizioni: ci hanno provato ma era impossibile"
Le condizioni, obbiettivamente durissime, sono giudicate la causa vera del tradimento dei principi rivoluzionari. In particolare l'ostilità internazionale, culminata nella guerra civile e nel lungo isolamento economico, impedirono lo sviluppo di forme più democratiche del socialismo.
2 - "Anticomunisti"
Rappresentati da storici statunitensi Adam B.Ulam e Isaac Shapiro, questa corrente imputa alla formazione culturale di Lenin e degli altri dirigenti bolscevichi il risultato antidemocratico della rivoluzione. Definiti "un gruppo di avventurieri", i bolscevichi sono considerati una nuova élite che si è sostituita a quella precedente nello sfruttamento della popolazione.
3 - Combinazione di ragioni oggettive e soggettive
Come sintesi di condizioni difficili e carenze ideologiche, sul versante di democrazia e diritti umani, è illuminante la descrizione fatta da molti rivoluzionari "traditi" dall'atteggiamento del PCUS al termine del conflitto. In particolare "Memorie di un rivoluzionario" di Victor Serge.