Con il "colpo di stato" del 1301 i guelfi neri prendono il sopravvento, cacciando i principali esponenti della fazione bianca. Tra questi c'era anche Dante Alighieri, sfortunatamente Priore (la massima carica politica della città) proprio in quel periodo. Dante fu accusato di peculato - cioè di essersi appropriato di soldi pubblici - e condannato a pagare una forte multa. Essendosi rifiutato di ammettere la colpa, nel 1302 è condannato a morte in contumacia: praticamente obbligato all'esilio. Dante collaborerà inizialmente con i fuoriusciti bianchi e ghibellini, ma poi si rassegna alla situazione. Inserendo però il rancore per le vicende politiche nel suo capolavoro in costruzione: la Divina Commedia.
Scrive Franco Cardini: "Era quella (di inizio '300) la città maledetta da Dante: la città della "gente nova" e dei "sùbiti guadagni", governata dall'ira, dall'invidia e dall'avarizia. La Firenze del lusso sfrenato e delle impudiche donne imbellettate e scollate."
Firenze intanto continua la sua crescita economica e le sue discordie cittadine. Nel 1325 un tentativo di conquistare la ricca città di Lucca porta alla cocente sconfitta di Altopascio.
La crisi politica che seguì ripropose un'idea che si era già affacciata qualche anno prima: individuare "l'uomo forte" a cui affidare la città. Una tentazione che ritorna spesso nei momenti di crisi (non solo in tempi passati!). Il curriculum giusto era quello del figlio del re di Napoli, Carlo di Calabria: viene fatto Signore di Firenze per dieci anni. Ma l'anno successivo morì improvvisamente, ponendo fine all'esperimento.
Nel 1333 abbiamo la terribile alluvione che si porta via il Ponte vecchio con la "statua scema" del dio pagano Marte.
Le compagnie fiorentine avevano prestato capitali a vari re e principi europei, tra cui Edoardo III re d'Inghilterra. Quando iniziò la guerra dei cento anni tra Inghilterra e Francia (1) la corona inglese si dichiarò insolvente, seguita da altri debitori. Semplicemente non restituirono i soldi che si erano fatti prestare.
Ancora una volta per uscire dalla crisi fu giocata la carta dell'uomo forte. Stavolta la scelta cadde su Gualtiero di Brenne Duca d'Atene, un avventuriero francese celebre per alcune imprese in Oriente e noto a Firenze in quanto era il Vice del Duca di Calabria. Il Duca si diede ad atteggiamenti principeschi e cercò di contrastare il potere delle Arti con una politica "populista", cioè cercando il consenso nei ceti più bassi facendo leva soprattutto su celebrazioni fastose e promesse appariscenti (p.e. obbligo per le famiglie ricche di prestare i soldi al Comune). Le corporazioni si stancarono di questi atteggiamenti e pochi mesi dopo lo cacciarono. Siamo nell'estate del 1343.
La riforma elettorale del 1344 è così complicata da rendere impossibile per una sola persona dichiararsi Signore della città (quello che stava avvenendo a tutte le altre grandi città italiane). Resta comunque molto ristretto il corpo elettorale: 5/6000 uomini su un totale di 100.000 abitanti. Erano esclusi sia i lavoratori semplici, sia i ricchi magnati inseriti nella lista dei non eleggibili.
Nel 1348 arrivò la peste. La popolazione dimezzò, in parte perché morì un numero impressionante di persone, in parte perché emigrarono verso la campagna.