venerdì 20 marzo 2009

5. Storia della Repubblica di Firenze


Lezione 5 - Dai Ciompi ai Medici (13.03.09)

Il dopo peste fu caratterizzato da numerosi problemi: carenza di manodopera; chiusura botteghe, carestie, riduzione della popolazione (da 100mila a circa la metà). Però non furono persi i grandi capitali accumulati e soprattutto la capacità e l'abilità dell'artigianato di produrre manufatti di altissima qualità. Peraltro la spiccata intrapendenza e intelligenza affaristica giocarono un ruolo importante nel mondo del dopo crisi (come ha mostrato Boccaccio nel Decameron).

Le botteghe riaprirono, assunsero lavoratori immigrati e l'Europa fu nuovamente attraversata dai mercanti fiorentini impegnati a vendere pannilana pregiati e a offrire prestiti cospicui.

1378  Tumulto dei Ciompi

E' considerato l'episodio più significativo dei conflitti sociali dell'Europa medievale.

I lavoratori operai della Lana, non iscritti all'Arte e chiamati appunto "ciompi", erano i più sfruttati. Il tumulto durò per tutta l'estate di quell'anno. Gli artigiani organizzarono manifestazioni, crearono scontri e occuparono i palazzi del potere e le botteghe della Lana. Il leader di tutto questo fu Michele di Lando. Le famiglie arrivate in città da poco tempo, sostenevano le classi più basse, come i ciompi; questo perchè, come loro, erano esclusi dalle liste elettorali. Anche un rappresentante dei Medici, allora arrivati da poco tempo dal Mugello, sostennero il tumulto. La rivolta ottenne alcuni risultati: a fine estate vennero create tre nuove Arti, tra cui quella dei ciompi. Dopo tre anni ci fu un governo di restaurazione e tornò tutto come prima

Inizio '400

Le città italiane più ricche erano, insieme a Firenze, Milano (signoria) e Venezia (oligarchia). Firenze inizia una serie di guerre contro Milano, con l'alleanza di Venezia, mentre conquista Arezzo e altri territori circostanti (Montepulciano, Pisa, Cortona, Livorno), allargando il territorio in modo che la città fosse più sicura. Milano attacca Firenze e la isola con un blocco commerciale. Quando Firenze sta per arrendersi, a Milano morì il Signore della città Giangaleazzo Visconti e la città fu salva. Firenze si salva sempre per fortuna (anche con Napoli il decennio successivo). E' in questo periodo che si si sviluppa l'umanesimo, e si crea il mito di Firenze che rappresenta la libertà dalle tirannie. I simboli sono il leone e il giglio.

Intanto in città prende potere un'altra famiglia: gli Albizzi (guerrafondai). A seguito della sconfitta di Lucca (1433) la famiglia Albizzi fu cacciata e la guida informale del governo andò a Giovanni dei Medici: reinstaura i rapporti con Milano e sviluppa l'economia. I Medici diventarono la famiglia di riferimento della città. Soprattutto con il figlio di Giovanni: Cosimo "il vecchio"

Cosimo fu signore informale dal 1434 al 1464; lui non intaccò il sistema repubblicano, con i priori estratti a sorte e le altre magistrature a breve durata; semplicemente gestiva gli elenchi elettorali piazzando uomini di sua fiducia in tutte le funzioni importanti.

“Amava regger lo stato dal fondo della sua casa di via Larga”

appunti di Chiara Montanaro

martedì 3 marzo 2009

Firenze nel 1348. Il Decameron, di Giovanni Boccaccio


Nel 1349 Giovanni Boccaccio scrive un “instant book” sugli effetti della peste a Firenze. La terribile epidemia, causata da un batterio e diffusa attraverso le pulci, era giunta in Italia nell’anno precedente, causando una strage senza precedenti. Circa un terzo della popolazione morì nell’arco di pochi mesi: le città si svuotarono e con esse anche i riferimenti morali e istituzionali persero di significato. Era la fine del mondo: la fine del mondo medievale. Nessuno, meglio di Boccaccio, riuscì a cogliere il senso della trasformazione di quegli anni. Un punto di rottura ma anche un punto di passaggio, un processo di cambiamento dalla civiltà ultra-religiosa incentrata sui 3 ordini (cavalieri, chierici e lavoratori) a una civiltà mercantile e umanista.

Il titolo “Decameron” è declinato dal greco e significa “dieci giornate”.  Narra le vicende di dieci giovani aristocratici fiorentini – sette donne e tre uomini – che per sfuggire alla peste si ritirano in una villa fuori città.

Prima di iniziare il racconto Boccaccio inserisce un Proemio, in cui spiega perché ha scritto l’opera e a chi è rivolta, e una introduzione in cui tratta con taglio documentaristico gli effetti della peste. Sono storie divertenti, scritte per divertire, in particolare divertire le fanciulle; ma sono storie scritte all’ombra della tragedia, della peste. Questo aspetto è centrale nell’intera opera.

Nell’introduzione viene descritta la malattia, come si manifesta, quanto dura, che tipo di sofferenze provoca ecc. Ma accanto all’analisi medica, Boccaccio fa anche un’analisi sociale. Ci dice che a Firenze non c’era più umanità, nessuno si aiutava; la peste aveva distrutto i tre ordini fondamentali: la famiglia, la legge e la religione.

La famiglia era negata dalla paura e dall’egoismo (parenti e amici che fuggono anziché aiutare)

La legge era negata dall’assenza di giudici e polizia (delinquenti indisturbati a giro per la città)

La religione era negata dall’assenza del lutto. Ai funerali la gente sghignazzava contenta di essere sopravvissuta un giorno in più. Le preghiere non salvano dal contagio.

Tutte le leggi umane e divine sono cadute. Occorre un percorso di ricostruzione morale. Boccaccio promette divertimento, ma propone un percorso di salvezza laico.

La storia

Sette belle ragazze si ritrovano alla messa di Santa Maria Novella; una di loro (la più grande, 28 anni) chiamata Pampinea propone alle altre una vacanza di 15 giorni fuori città. Per convincere le amiche Pampinea descrive nuovamente la peste (in tono meno analitico e più emotivo). Il Decameron parte dalla peste.

Va bene, dicono le altre, ma ci vogliono gli uomini! 

"L'altre donne, udita Pampinea, non solamente il suo consiglio lodarono, ma disiderose di seguitarlo avevan già più particularmente tra sé cominciato a trattar del modo, quasi, quindi levandosi da sedere, a mano a mano dovessero entrare in cammino. Ma Filomena, la quale discretissima era, disse:Donne, quantunque ciò che ragiona Pampinea sia ottimamente detto, non è per ciò così da correre a farlo, come mostra che voi vogliate fare. Ricordivi che noi siamo tutte femine, e non ce n'ha niuna sì fanciulla, che non possa ben conoscere come le femine sien ragionate insieme e senza la provedenza d'alcuno uomo si sappiano regolare. Noi siamo mobili, riottose, sospettose, pusillanime e paurose; per le quali cose io dubito forte, se noi alcuna altra guida non prendiamo che la nostra, che questa compagnia non si dissolva troppo più tosto, e con meno onor di noi, che non ci bisognerebbe; e per ciò è buono a provederci avanti che cominciamo" Decameron, Introduzione giornata 1.

Così propongono la cosa a tre giovani presenti in chiesa – Panfilo, Filostrato e Dioneo – i quali accettano con entusiasmo. Le altre fanciulle sono: Fiammetta, Emilia, Lauretta, Elissa e Neifile.

Giunti alla villa si danno delle regole: nelle ore calde si raccontano novelle. Una per uno, tutti i giorni. In totale sono cento novelle. Ogni giorno viene nominato un re o una regina che prende le decisioni, compreso il tema dei racconti (Dioneo ha però una delega e racconta sempre a tema libero). Il venerdì è il giorno dedicato alle preghiere, mentre il sabato le donne devono pettinarsi. NB sacro e profano valgono allo stesso modo! Si comincia ad avvertire il segnale di una profonda trasformazione.

Il “disegno non causale” del Decameron è stato intuito da uno studioso francese, Federico Neri negli anni ’30. Le dieci giornate sono organizzate secondo una specie di percorso salvifico laico, quasi un parallelo con il percorso salvifico divino narrato da Dante nella Commedia.

Ecco schematicamente la struttura del percorso.

Giornata 1 – (tema libero, in realtà novelle di corruzione e vizi) – mondo nel caos, prevale il vizio e la corruzione, soprattutto in uomini di potere e di chiesa.

Giornata 2 – (lieto fine) – mondo nel caos, anche se finisce bene.

Giornata 3 – (ingegno contro il fato) – intelligenza per soddisfare piaceri parziali e personali; non si cambia il mondo.

Giornata 4 – (amori infelici) – le passioni personali diventano tragedie

Giornata 5 – (amori felici) – talvolta le cose possono andare bene

In questa prima parte c’è una specie di analisi della realtà. Prima di cominciare Dioneo disse: “non voglio sentire una parola sulla peste!” Tutti d’accordo, ma poi le storie sono tutte di degrado morale e disfacimento. E’ il mondo medievale che sta morendo. I suoi attori non offrono più garanzie, i suoi valori non danno risposte di fronte alla realtà.

Il nuovo mondo, che nascerà dopo la peste, dovrà avere delle virtù diverse. La seconda parte mette in circolo queste novità. E’ la strada per ripartire, alcune indicazioni sul mondo che sarà. La giornata 6 è introdotta da una canzone goliardica di Dioneo (l’orrore della peste inizia a stemperarsi) e da una battibecco mattutino tra due servi: Tindaro e Licisca. La scenetta diverte i giovani narratori e pone in primo piano il tema del sesso come elemento di rottura rispetto alle rigide convenzioni religiose.

Giornata 6 – (motto per risolvere situazioni) – la battuta arguta divide il mondo in chi capisce e chi no.

Giornata 7 – (Beffe di donne a uomini) – le gerarchie immodificabili possono essere modificate. Donne astute tradiscono i loro uomini che appaiono degli stupidi. E’ forse il mondo ideale delle giovani fiorentine? Qui si ribalta il rapporto uomo donna, ma il concetto è mutuabile anche al rapporto ricco-povero; re-popolo. Non è come alle novelle della giornata 3, dove i rapporti non sono intaccati, e l’ingegno offre benefici personali e momentanei.

Giornata 8 – (Beffe) – è un ritorno alla realtà. Le beffe definiscono sì i nuovi rapporti, tra chi è intelligente e chi no, ma in genere riguardano gli uomini. Non è ancora tempo di parità! Nella storia si sente avvicinarsi l’ora del rientro in città, e quindi il contesto si fa leggermente più realistico.

Giornata 9 – (libero) – è un riassunto delle puntate precedenti. Le vacanze stanno per finire.

Giornata 10 – (amore e generosità) – le valigie sono già pronte per il rientro in città. Le ultime storie sono di una bontà esagerata; elementi di magia, assenti fino a quel momento, e ambientazioni tutte lontano da Firenze, chiariscono il clima di irrealtà delle novelle. Servono per farsi coraggio!

In questa seconda parte sono esaltati valori molto diversi da quelli medievali; prevale infatti la leggerezza di certe narrazioni (e l’assenza della condanna morale religiosa), la flessibilità mentale nel risolvere i problemi, l’intelligenza, la fiducia nei propri mezzi, la consapevolezza delle possibilità umane. Anche il contesto è nuovo: è il mondo dei mercanti e degli affari, delle città e dei viaggiatori. Boccaccio disegna un mondo laico, caotico e disordinato, visto “come se Dio non ci fosse”, in cui ognuno deve trovare dentro di sé le risorse per superare le crisi e le tragedie (indipendentemente dalla fede personale). La società che emerge dal Decameron è una società a 360°, con mercanti, gente del popolo, gente di chiesa, re e aristocratici; con molte donne e con moltissimi personaggi caratterizzati dall’intelligenza pratica di capire il mondo. Il linguaggio riflette questo affresco d’epoca adattandosi ai vari personaggi, cogliendo così aspetti colti e volgari, popolari e aristocratici. La lingua italiana, costruita da Dante nelle sue rime “divine”, viene così arricchita del linguaggio quotidiano e popolare.

Nel proemio Boccaccio aveva promesso divertimento, ma in realtà fa molto di più: spiega il mondo in trasformazione, dal vecchio ordine clericale-medievale al nuovo ordine mercantile-umanista. Non a caso è Firenze l’alba di questo mondo dell’ingegno, degli affari senza scrupoli, delle beffe, dei mercanti e delle gerarchie messe in discussione.

Precisazione. Boccaccio non amava questo mondo in trasformazione, lui era legato sentimentalmente all’ambiente aristocratico e raffinato della corte napoletana dei D’Angiò, dove aveva passato la giovinezza. Intuì però che la realtà era un’altra. Su questa consapevolezza ha costruito il Decameron.

Per riassumere:

IL DECAMERON COME PERCORSO SALVIFICO Il percorso della brigata: dalla distruzione alla rinascita nella cornice si compie un percorso di rinnovamento umano, spirituale e civile. š La peste rappresenta la crisi, la distruzione e il disfacimento della società umana che di fronte š alla morte abbandona ogni morale. L’incontro casuale dei dieci giovani e la loro decisione di fuggire insieme da una città priva di š ogni ordine civile e morale rappresenta una via d'uscita e un modo per rinascere.

  1. Raccontare diventa un'occasione per meditare sulle cose del mondo e degli uomini. La scelta di narrare permette alla brigata di inquadrare la molteplicità della vita e di descrivere la complessità del mondo reale. š sulla Fortuna (II e III giomata) š sull'Amore (IV e V) š sull'Ingegno (VI, VII e VIII) š sulla Magnanimità (X).
  2. UN RINNOVATO PARADIGMA MORALE alla fine della dieci giornate Dioneo sottolinea che, nonostante l'occasione e la presenza di qualche novella scabrosa, tutti hanno vissuto nel rispetto reciproco. paradigma morale laico e mondano, fondato sulla magnanimità, sul senso della misura e sull'onestà, che è stato necessario richiamare dopo l'evento sconvolgente della peste. š La funzione della cornice non serve solo a dare un ordine e una struttura al libro di novelle, ma contiene anche una funzione pedagogica ed esemplare.